sabato 7 settembre 2013

The Grandmaster di Wong Kar-wai

Nelle sale dal 19 settembre.

Wong Kar Wai has turned martial arts into a modern dance, The Grandmaster, arranged with both elegance and fury, left me mesmerized.” 
Martin Scorsese*.

A volte capita. A volte succede che un film di genere, esca dal suo ristretto recinto, sfondi le pareti imposte dalle definizioni da dizionario del cinema, dai pregiudizi degli spettatori e dalle stesse regole del genere cui appartiene, e si elevi a qualcos'altro. A film d'autore, a capolavoro, ad Arte, con la a maiuscola.
Non accade spesso, i generi sono per definizione di un livello più basso, di serie B, ma qualcuno ogni tanto ci riesce. Terrence Malick con il suo La sottile linea rossa, ha posto l'asticella del genere guerra, ad un livello poetico. Kubrick ha rivoluzionato la fantascienza con 2001 Odissea nello spazio. Friedkin (eh mica posso sempre citare Kubrick) e L'esorcista hanno mandato in pensione un'intera epoca dell'horror. Leone ha definitivamente ammazzato il western con (uno spaghetti western e) l'ammazza west per eccellenza, C'era una volta il West, senza citare i suoi altri. Film di genere sicuramente, ma liberatisi dalle catene, scevri da qualsiasi definizione a parte quella di capolavoro. 
Anche le arti marziali hanno avuto il loro Maestro, colui che le ha portate nell'olimpo del grande Cinema, colui che le ha sdoganate e che da filmettini per movie geek da videoteca, le ha portate all'attenzione del grande pubblico. Zhang Yimou ha realizzato tre quadri, tre affreschi, tre sublimi opere d'arte che hanno polverizzato il pregiudizio legato al film di kung fu. E poi è arrivato Wong Kar-wai e The Grandmaster

Happy together (again at last)!
Dieci anni fa, reduce dal successo del meraviglioso In the mood for love, Wong Kar-wai iniziò a progettare questo film. Dieci anni di lavoro, pensieri, correzioni, altri progetti nel frattempo. Dieci anni necessari per realizzare non una semplice pellicola biografica sul maestro Yip, ma qualcosa di più, di diverso. Durante questo periodo molti tentativi di altri sono stati fatti e così Yip Man è diventato più celebre che mai (tuttavia rimane semplicemente "il maestro di Bruce Lee"). Il migliore di questi rimane il dittico di Wilson Yip; un biopic divertente, completo (200 minuti che abbracciano l'intera vita del maestro fino al primo veloce incontro con Lee) e ben diretto sotto tutti i punti di vista. Ma non è The Grandmaster.
Un anno fa la fine delle riprese e l'attesa che schizza alle stelle. Non solo vedeva finalmente la luce uno dei più complessi film nella recente storia del cinema asiatico, ma segnava anche il ritorno sul grande schermo di Wong, fermo ancora a quel Bacio Romantico americano del 2007. Ma ancora niente da fare, Wong ha bisogno di un anno intero per il montaggio finale e sarà pronto infine per inaugurare il Festival di Berlino, dove è presidente di giuria. Ben tornato.
As time goes by.
The Grandmaster non è il film adatto per chi cerca un biopic completo e accurato su Yip. A Wong sembra non importare questo aspetto. Addirittura non sembra neanche importargli di  Yip stesso. I protagonisti delle due meravigliose ore sono addirittura tre e molto spesso il maestro del titolo deve sgomitare per trovare spazio.
Idem deve fare la storia e la Storia cinese, dentro la quale Yip è passato più volte. Le vicende più importanti dei protagonisti vengono spesso relegate ad alcuni brevissimi riassunti in didascalie da film muto. Si galleggia tra un anno e l'altro, tra il pre-guerra e l'invasione nipponica, tra l'inizio felice, la primavera, a Foshan e il tentativo di rinascita a Hong Kong. Non c'è una forte coesione narrativa, si rischia di perdersi nel mare di nomi, di eventi. E molte cose si perdono, come i famigliari di Yip, vivi nel dittico di Wilson, scomparsi qui, nel senso usciti di scena (difficile capire, quale delle due versioni sia giusta. Se lo sapete fatemi un fischio).
Si ha la sensazione è di assistere a una recita, una messa in scena teatrale di alcuni importanti eventi nella vita di un maestro di arti marziali (che potrebbe essere Yip, e lo è, o no), vissute attraverso importanti scontri e duelli, che non sono altro che incontri tra persone.
La prima parte si svolge prevalentemente all'interno del Padiglione d'oro, un bordello di Foshan. Spazi chiusi -persino negli esterni della stazione e della battaglia iniziale sotto la pioggia-, ambienti finti, personaggi disposti come in una fotografia o in una scenografia. Persino nei dialoghi e nell'impostazione di essi, nella recitazione sembra di stare a teatro. Ancora di più, sembra un'epopea romanzesca, magari russa, magari tolstojana (e un treno molto kareniniano non tarda ad arrivare). Figure reali che si muovono in spazi di finzione, tra figure di finzione in un tempo reale.
In the (right) mood for some wing chun.
In fondo come in tutti i film di questo genio made in Hong Kong, l'amore è il tema principale. Quello che va in scena è un triangolo d'amore non consumato, tipico anch'esso. Yip si innamora di Er, Er di Yip, ma non si incontreranno mai, causa guerra, famiglia, (maltempo?). Er si innamora o semplicemente si invaghisce quindi di Razor ma è un'altra epoca, un'altra Er, l'amore non ha più spazio, per sua scelta.
Come le chiavi in Un bacio romantico o la scatoletta di ananas e lo straccio in Hong Kong Express anche qui un oggetto assume il valore simbolico di un amore passato. Un semplice bottone di un cappotto, quello che doveva scaldare nel viaggio a nord, quello venduto in tempi di guerra per sfamare la famiglia, il bottone appeso al muro della stanza a Hong Kong, l'unico legame con un mondo e una donna cambiati profondamente e irreversibilmente e mai più ritrovati.

Ogni combattimento, ma soprattutto l'estetica e la regia in essi, con una macchina da presa sempre al centro dell'azione, rispecchia l'essenza dei tre personaggi. Si passa dalla leggiadria delle movenze di Yip, con dei movimenti di macchina morbidi, un ralenty avvolgente, il frame rate delle immagini che si abbassa, come in un sogno, alla frenesia di Er, la sua irruenza e la sua aggressività femminile, i bellissimi particolari dei suoi occhi, la frenesia dei colpi, fino alla violenza di Razor, forse fuori luogo, anche e soprattutto come personaggio. Le sequenze lui riguardanti sono le uniche dove trova spazio il sangue, sia la prima volta in cui lo incontriamo, sia nel secondo combattimento sotto la pioggia, dove si inscena una vera mattanza fatta di corpi dilaniati, arti rotti e mazzate poderose.
Che Wong abbia imitato la pulizia e l'assenza di eccessi di Yimou in Hero, dove una sola goccia di sangue trova spazio e da il la a una delle scene più belle nella storia del cinema. Con i cappotti "grondanti" lana, Wong aggiunge il tocco poetico e originale finale.
My blueberry fights.
C'è una particolare sequenza, che si piazza al primo posto senza rivali, in un'ipotetica classifica del meglio visto al cinema in questo 2013. Yip è appena stato sfidato da Gong Er (Er Gong sembra romano), figlia e "erede" della grande casata di arti marziali Gong, nonché una delle migliori nella tecnica dei 64 palmi. Yip ha appena battuto suo padre in una sfida di intelletto, di ingenio, dove le arti marziali avevano un peso molto minore se non assente. Er ha un caratterino fumoso e anche stavolta lo dimostra, ma Yip riesce a dominare la situazione e a trasformare il conflitto in un "pacifico" esempio di grande talento da parte di entrambe le parti.
Il preludio al combattimento è qualcosa di magnifico. Un connubio perfetto di immagini, volti, sguardi, atmosfera, e meravigliose musiche. Si percepisce la tensione dei partecipanti ma anche il grande rispetto. Esteticamente è una gioia orgasmica (il video è sotto). Poi però arriva il combattimento ed è addirittura meglio.
Danza. Un balletto tra due innamorati per nulla intenzionati a farsi realmente del male. In uno di questi scambi di pugni, parate e calci, nasce l'amore tra i due. E' un momento, un volo in cui i loro volti si sfiorano. Per Yip è un'emozione che trova subito spazio nel suo cuore e nella sua mente, per Er invece deve aspettare, prima deve vincere.
E questo è solo uno dei tanti combattimenti o danze che compongono il film. La primissima sotto la pioggia, anch'essa meravigliosa, guidata da una coreografia perfettamente armonizzata con le gocce e le pozze d'acqua. Lo scontro di Yip con tutti i maestri delle diverse discipline, totalmente diverso da quello su tavoli nel film di Wilson Yip. E poi il duello finale tra Er e Ma San, sadicamente posticipato e illustrato in un flashback, alle spalle di un treno kareniniano, estasi nel sublime, potenza, bellezza e leggerezza.
Esagero? Ma da appassionato di questo genere di film, quando si vedono cose simili viene da piangere.

The Mong Kok's Carmen, and friends.
Ho ascoltato a non finire ogni colonna sonora dei film di Wong, specialmente quelle di 2046 e In the mood for love, e farò lo stesso con questa. Considero Shigeru Umebayashi uno dei compositori più validi (e vari) del panorama cinematografico contemporaneo (al pari di Hisaishi rimanendo in Asia). Creatore di melodie strazianti, suoni gravi, musica che parla all'anima. E' stato affiancato per questo film a Nathaniel Mechaly e all'italiano Stefano Lentini, classe 74, già un discreto curricula nel mondo del cinema e della tv (Ballarò) oltre che grande esperto di musica alternativa del mondo, (laureato in antropologia culturale e studioso di etnomusicologia), entrambi riescono a dare una notevole impronta europea alla colonna sonora.
La scena migliore del film è avvolta nelle note e nella lirica di Stabat Mater, sublime melodia gregoriana eseguita nei secoli dai più grandi compositori di tutti i tempi, fra cui Rossini, Pergolesi, Dvorak, Vivaldi, Haydn e molti altri. Come capita spesso per i capolavori, è proprio la musica, giusta, a dare il tocco finale e più importante alla pellicola. Senza, quelle belle immagini, sarebbero valse la metà. Vedere per credere
Brividi (peccato la qualità).
Riconoscerete durante la visione anche altri magnifici brani classici come La Norma di Bellini e un paio di Morricone, tra cui Il tema di Deborah, direttamente da C'era una volta in America e La donna romantica da Come imparai ad amare le donne.

Fallen angels.
Dopo quasi dieci anni, si ricrea la coppia d'oro Wong Kar-wai-Tony Leung al settimo film insieme. Era difficile battere la grandiosa prova di Donnie Yen come Yip Man, ma Leung è riuscito a tenergli testa più che egregiamente. Uno stile di recitazione misurato, di grande classe, una vera tigre accuattata, nascosta sotto un cappotto nero e un borsalino bianco. Esiste attore, nella sua parte di continente e oltre, migliore di Tony Leung? No, che faccia un dramma sentimentale o una zeppo di sparatorie o di calci rotanti (Hero, Ashes of time) ruba ogni volta la scena a tutti. Ma stavolta c'è lei...
Zhang Ziyi, vero angelo caduto negli inferi dopo lo scandalo del sesso a pagamento con un politico, anch'essa ritornata da Wong dopo la piccola parte in 2046 che la consacrò definitivamente tra le più grandi. E' una Anna Karenina con movenze da kung fu, bellissima, fiera, feroce, un personaggio ferito, autoprivatosi della felicità per aver perseguito la vendetta. Una prova intensa come sua consuetudine.
E infine c'è anche Chen Chang, altro fedelissimo feticcio del regista, volto perfetto per la violenza di Razor, a chiudere questo felice reunion.
Nel making of che ho linkato alla fine, si possono vedere i duri allenamenti a cui si sottopongono per questi tipo di film gli attori. Massacranti esercizi, ripetuti per giorni, mesi, lividi e crampi come ricompensa, il tutto per evitare problemi sul set e per portare su schermo le coreografie più audaci e spettacolari.
(Grand)Masterpiece Express.
The Grandmaster istruzioni per l'uso e considerazioni finali, attenzione. Non aspettatevi un film di arti marziali canonico, non aspettatevi un biopic classico, non aspettatevi un film su Yip Man. Trattasi invece di un opera artistica, di opera d'arte, un prodotto profondamente autoriale che potrà deludere, se non si arriva alla visione con la giusta prospettiva (come ad esempio feci io con Ashes of time, precedente -1994- wu-xia del regista, che di wu-xia aveva poco, e di arti marziali zero, ancora meno nel redux).
The Grandmaster è uno dei migliori film di questo 2013, il grande ritorno di uno dei migliori cineasti viventi, pienamente nel suo stile ma allo stesso tempo leggermente diverso. Un'opera matura, di difficile fruizione forse, un progetto ambizioso pienamente riuscito e tuttavia non esente da alcuni difetti. Una gioia per gli occhi, e per le orecchie. Ben tornato gran maestro, adesso non farci aspettare altri 6-7 anni.
*In America è uscito con il marchio Martin Scorsese presents, e distribuito dai Weinstein.

Se vi interessa, eccovi un buon Making of di 31 minuti.
E un interessante intervista a 3 con tanti retroscena.
Un rapido assaggio di tutta la colonna sonora.

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