mercoledì 26 marzo 2014

Il Ricatto di Eugenio Mira

Nelle sale dal 20 marzo

Reduce dall'insignificante Red Lights, Rodrigo Cortés ci riprova nelle vesti di produttore con Grand Piano, terzo lungometraggio del regista e compositore (!) Eugenio Mira, ennesima produzione spagnola con cast internazionale.
Tom Selznick (Elijah Wood) è uno dei più grandi pianisti viventi, ma non calca i palcoscenici da cinque anni perché non è in grado di suonare La Cinquette, un brano "impossibile" composto dal suo compianto mentore Patrick Godureaux. Quando finalmente accetta di riprovarci, durante un concerto in onore di Godureaux, Tom trova un messaggio sullo spartito musicale: "sbaglia una sola nota e morirai".
Un po' come Buried, il film che lanciò Rodrigo Cortés, Il Ricatto vive tutto nella sua sinossi, o meglio, in un'idea che almeno sulla carta sembra sufficiente a sostenere un'intero lungometraggio. Un one-man-show in cui il povero protagonista viene tenuto prigioniero in un'unica location, lì una bara sepolta, qui il palcoscenico di un teatro, sotto gli occhi ignari del pubblico.

Ed è forse proprio l'ambientazione che rende subito evidente la volontà di citare ed omaggiare il cinema di Alfred Hitchcock, in particolare quella famosissima scena di L'uomo che sapeva troppo (originale e remake) ambientata alla Royal Albert Hall, famosissima anche perché esemplifica perfettamente l'idea hitchcockiana di suspence spiegata nell'intervista a Truffaut: "La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l'anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all'una e sa che è l'una meno un quarto - c'è un orologio nella stanza - : la stessa conversazione insignificante diventa tutt'a un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena.". L'idea di fondo è pressapoco la stessa, nel film di Hitchcock sappiamo che ad un certo punto del concerto un'arma farà fuoco, in quello di Eugenio Mira sappiamo invece che se Tom sbaglierà le fatidiche note finali della Cinquette, verrà ucciso. Eppure ci sono alcune differenze abissali. La prima e la più ovvia è che Mira non è Hitchcock. La seconda, altrettanto ovvia, è che quella di L'uomo che sapeva troppo era una singola scena, pochi insostenibili minuti di suspence che non sarebbe possibile prolungare oltre. Ma Mira ci prova lo stesso, quei cinque minuti li trasforma in novanta, e nel fare questo elimina o altera la variabile più importante "c'è un orologio nella stanza". Il tempo non significa più niente, non abbiamo più un conto alla rovescia scandito dalle note del concerto o dalle inquadrature, ma un lungo intervallo vuoto da riempire, da rendere dinamico e interessante con dialoghi martellanti, imprevisti sempre più improbabili e un mistero da svelare. Non c'è più suspence perché non siamo più preoccupati della bomba sotto il tavolo, ma anzi vogliamo vederla esplodere, vogliamo conoscere le vere intenzioni del ricattatore (o almeno così dovrebbe essere), ed è a questo punto che Il Ricatto si trasforma in un clone fuori tempo massimo di film come Liberty Stands Still e In linea con l'assassino.
Peccato perché Eugenio Mira non sembra affatto uno sprovveduto, basti pensare a tutta la sequenza del cellulare che termina in uno split screen, ma anche al tanto disprezzato finale, un trionfo dell'esagerazione (e della verticalità) che può essere visto solo come omaggio divertito ad analoghe scene hitchcockiane. Purtroppo imitare Hitchcock senza rileggerlo, come ha fatto a suo tempo De Palma, non porta da nessuna parte, soprattutto se è sostenuto da una sceneggiatura inconsistente come quella di Damien Chazelle (The Last Exorcism – Liberaci dal male...).

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