lunedì 10 marzo 2014

Fruitvale Station di Ryan Coogler

In sala dal 13 marzo.

Ogni anno ha il suo indie "peso massimo", quel film indipendente che attira l'attenzione dei media, del pubblico generico, che viene invitato ai grandi e piccoli festival, dove vince pure qualcosina, e ottiene così una distribuzione internazionale. L'anno scorso fu il caso di Beasts of the Southern Wild di Behn Zeitilin, vincitore a Cannes, lodato da tutti i critici, finito addirittura ad essere pluricandidato agli Oscar (forse primissimo caso di un film indie così piccolo ad essere candidato come miglior film). Quest'anno tocca a Fruitvale Station, che ha moltissime cose in comune con il film di Zeitlin: indirettamente, ma neanche tanto, parla di razzismo, ha vinto al Sundance e a Cannes, molti lo inseriscono nella loro top 10 annuale e vede protagonisti un padre a una bambina afroamericani con un rapporto molto forte, costretti a dividersi.
Fruitvale Station si basa su un fatto realmente accaduto e parte proprio da un real footage, da immagini reali riprese da un cellulare. Notte dell'ultimo dell'anno 2008, in seguito ad alcuni disordini, la BART (la linea metropolitana che collega tutta la baia di San Francisco) deve fare una fermata prolungata alla stazione Fruitvale, in modo da permettere alla polizia di arrivare sul luogo e intervenire. I poliziotti fermano cinuqe giovani ragazzi di colore, probabilmente collegati ai disordini. Alle ore 2 circa, dalla pistola di un agente parte uno sparo che colpisce in piena schiena Oscar Grant. Il film ripercorre le sue ultime ventiquattro ore di vita.
L'incidente causò diverse sommosse a Oakland e a San Francisco. Un poliziotto bianco aveva ucciso, per errore, un ragazzo nero innocente (o presunto tale, e comunque di un non reato). In un paese come l'America in cui la questione razziale è ancora oggi così preponderante,  fu un vero disastro.

Quindi un film sul razzismo, si, che non si concentra però sullo schiavismo dell'800, sul segregazionismo durato fino agli anni 60 del 900, non un film storico, ma attualissimo. Molto bene, perché è facile, davanti ad alcune pellicole, pensare che sia un problema morto e sepolto. Anche se non direttamente, Fruitvale Station è un pugno nello stomaco per l'America wasp benpensante. Tutto l'incidente nacque dalla solita constatazione pregiudizievole fatta da alcuni poliziotti: ci sono casini, ci sono dei neri, sono stati i neri. Neanche Aristotele avrebbe potuto fare peggio.
L'inizio del film è forte, è la morte in diretta, peccato poi scivoli in un errore grossolano: santificare il protagonista. Oscar Grant era un ragazzo qualunque, forse persino uno stereotipo negativo vivente per un afroamericano, ma non un criminale. Carattere fumantino, problemi con l'autorità, finito in galera un anno prima per spaccio di erba. 
Problemi comuni per un giovane, di certo non meritevole di essere perseguitato a causa del suo passato o addirittura di essere ucciso. Questo è il punto importante della vicenda. Ha sbagliato, e forse stava ancora conducendo la sua vita sulla cattiva strada, ma quella sera era totalmente innocente e vittima di pregiudizi razziali.
Ryan Coogler decide tuttavia che bisogna tirarne fuori uno stinco di santo. Nella prima ora di film, dove si ripercorre la sua ultima giornata, si passa attraverso una sequela di buone azioni una dietro l'altra, scenette e sequenze atte a farci entrare in empatia con il giovane e a struggerci in seguito per la sua fine. Vuole ripulirsi, non vuole più essere un drogato, o uno spacciatore, ha smesso addirittura di bere da tempo; ha perso il lavoro per la sua poca professionalità (troppi ritardi) ma si sbatte per riaverlo, o per trovarne un altro; ci tiene molto ai suoi famigliari, costantemente chiamati o messaggiati, soprattutto in una giornata speciale come il compleanno della mamma; è un ragazzo socievole e che aiuta il prossimo, non importa il colore della sua pelle (la ragazza che vuole cucinare il pesce, la coppia con la moglie incinta); è un padre premuroso, ammirato e amato dalla figlia; si prende cura di un povero cagnolino investito.
Non è un po' troppo? Direi. Perché, perché mi chiedo? Non era abbastanza che gli avessero sparato ingiustamente?

Ci sono alcune finezze nella sceneggiatura (la madre che gli consiglia di prendere il treno, nel caso si ubriachi o il bel dialogo -l'ultimo- con la figlia "Papa ho paura dei botti, degli spari" "Sono solo petardi, stai in casa e sarai al sicuro" " E tu papà?") e il finale è forte e molto ben realizzato, ma arriva dopo questa lunga esagerata premessa. Poi magari è tutto corretto, ma è chiaramente forzato all'interno di un dramma realistico.
Insomma, meglio di un The Butler, ma mica di tanto (Mi è venuta in mente di colpo la cuffia, la cuffia! Mi metto la cuffia e sono un nero gangsta cattivo, ma appena me la tolgo sono pensieroso, fragile, c'ho pure i flashback. Che cosa brutta).

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