domenica 26 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese

In sala dal 23 gennaio.

"Vendimi questa penna / Sell me this pen"

Lo confesso, da piccolo il mio sogno era quello di fare il broker. Altro che pompiere, veterinario o gelataio, io volevo lavorare in borsa. I motivi erano semplici: la borsa -anzi, il Nasdaq, ero già preciso- erano a New York, avrei quindi avuto una bella casetta vicino Wall Street, e sarei stato impaccato di soldi. No non sono ebreo di origini -che cosa brutta da dire nella settimana della memoria- ma ho sempre adorato i soldi, senza mai averli, purtroppo. Quante cose avrei potuto avere: giochi, macchine, case, viaggi, per le donne era forse ancora un po' presto, almeno da quel punto di vista. Si, probabilmente avevo visto troppo volte Una poltrona per due e Ricki e Barabba. Immaginavo la vita del broker come quella del classico yuppie rampante, con la barca da 70 piedi posteggiata nel molo, i vestiti elegantissimi (ma non disdegnavo neanche quelle coloratissime dei contrattatori), le partite a golf, un mondo di divertimenti ed eccessi. Poi sono cresciuto e ho fatto il percorso inverso di qualsiasi bambino, ho trovato che quel mondo fosse noiosissimo. I numeri, i conti, stare attento ad ottenere in anteprima le informazioni sui raccolti di arance (diamine Poltrona per due!), gli studi da ragioniere. Noia, era troppo persino per quel mondo pieno di lustrini, rolex d'oro e verdoni di grosso taglio.
Indagando meglio scoprii che i veri broker erano noiosi e si divertivano poco ed erano sempre impomatati, non più giovani, sempre in ipertensione, con il rischio di essere accusati di frode o di chissà quale altra magagna finanziaria in ogni momento. Forse non ero cambiato solamente io, era cambiato anche quel mondo, erano finiti gli anni 80, stava arrivando una crisi economica globale che avrebbe investito tutto e tutti.
Nei film non trovavo mai la conferma di quelle mie fantasticherie infantili, anche qui tutto l'opposto, il cinema mi riportava alla realtà. Wall Street di Stone era noioso e si concentrava solo sull'illegalità. Dov'era il divertimento? E' dovuto arrivare Scorsese per realizzare quello che avevo sempre immaginato e sospettato. Avrei dovuto studiare economia.

Eccolo il sogno americano, un self made man, un wasp, un figlio del Mayflower. Jordan Belfort è un Robin Hood che ruba ai ricchi per donare a se stesso. Un telepredicatore che ti garantisce la terra promessa con dolci paroline all'orecchio mentre ti spalma per bene la vaselina sul buco del culo. Un re mida che ti può portare al successo, ma solo se lavori per lui. Un grande Gatsby dei giorni nostri, totalmente indifferente alla luce verde dall'altra parte della baia (a proposito, Luhrman prendi nota di come si fanno le feste orgiastiche indiavolate). Un uomo partito dal basso, dalla periferia di Long Island, da una moglie cozza -ma molto intelligente-, da un vestito e una macchina da due soldi e si è trasformato in un imprenditore con la sua azienda, con un fatturato annuo da 49 milioni di dollari, una moglie ex modella, una villa grossa come il Long Island e un parco macchina da Formula 1.
Finalmente un film su Wall Street che si concentra sul resto, sugli stravizzi sregolati, sui baccanali e le depravazioni. A chi gliene frega cosa faceva di tecnicamente illegale Belfort? L'importante è sapere che non era legale, basta. Per fortuna Di Caprio ce lo ricorda e ci viene incontro in almeno un paio di passaggi: "Ma voi a questo punto non mi starete più ascoltando con questo bla bla di finanza" e "Andiamo avanti giusto? A chi importa?" mentre cerca di spiegare come funzionava la truffa delle penny stock. Andate su wikipedia a fine film se volete capire effettivamente come ha fatto.
Non importa sinceramente a Scorsese che non prende nessuna posizione, non giudica, non contrappone a Jordan neanche un personaggio positivo abbastanza forte, un eroe. L'agente dell'FBI (un Kyle Chandler a tratti irriconoscibile) è una figurina sbiadita che ogni tanto appare ma che non ha nessuna valenza, non rappresenta una reale e concreta minaccia. Non è in parole povere la cavalleria che arriva a mettere in riga il villain di turno.
Perchè un villain non c'è. E' un caso che Scorsese, cantore dei criminali con la pistola oggi parli dei criminali con la ventiquattrore? Non penso, per di più in un periodo in cui va di moda a Hollywood mettere sulla graticola i banchieri (come in Blue Jasmine di Allen) che ci hanno sempre tradito. Ma proprio come Henry Hill o Jimmy Conway, non sono odiati, ma sono rispettati e idolatrati. Chi non vorrebbe essere Jordan?
Tante le somiglianze tra il mitico protagonista di Quei Bravi Ragazzi e questo lupo, soprattutto nel finale dove Belfort mostra più fedeltà alla sua famiglia, anche davanti all'ipotesi di finire dentro per molto tempo, di quella di Henry con la sua famigghia mafiosa.
Non c'è redenzione per nessuno dei due, c'è solo la sconfitta finale, fanculo la lezione imparata, i debiti pagati, ora la vita è una merda e sono tornato in quel mondo da cui volevo fuggire, sono tornato a prendere la metro dove mi sudano le palle dentro lo stesso vestito che indosso 3 volte la settimana e vivo nella  mia casettina minuscola in periferia, dove sono tutte uguali, con il giardino davanti. La redenzione e la compensione dei propri errori sarebbero finezze fuori contesto davanti al capolavoro del rampantismo, al testamento dello yuppismo.
E forse il finale è il punto debole, non perchè abbia chissà quale problema di sorta, ma perchè non vorremmo che finisse mai questo party, e perchè il film deve obbligatoriamente sedersi un attimo, riordinare le carte in tavola per chiudere alla grande.
Scorsese torna di colpo agli anni 80, ai funambolici, scorretti, sregolati, anni 80, con un film che trasuda da tutti i pori quell'epoca. Non basta mettere le super macchine come la Lamborghini Countach (che significa scavezzacollo in bolognese, se non ricordo male), non bastano le camiciacce a collo alto, serve ricreare quegli anni e qui sembra di viaggiare nel tempo. Il montaggio sfrenato (3 ore? e chi le ha sentite), la colonna sonora, una sceneggiatura che galoppa letteralmente ricca di umorismo nerissimo,  i personaggi sopra le righe e politically scorrect (costerà l'Oscar a Di Caprio), le scene a basse di sesso spinto, nudità, cocaina, roba che oggi ci sogniamo in una Hollywood sempre più bacchettona.
Scorsese, il vero lupo di Hollywood, produttore di Boardwalk Empire e ispiratore de I Soprano (da cui prende anche lo sceneggiatore Terence Winter), si rende conto di come la TV stia superando il cinema in provocazione e non vuole di certo cedere il passo. In questo carnevale senza fine e senza sosta, il regista 71enne da il meglio di se, lui che con la cocaina ha anche dei trascorsi ottantini. Si mette nel taschino film come Wall Street,  realizza l'opera definitivo sul broker e cancella tutto il passato (anche se 1 km da Wall street non era male e la truffa usata, delle penny stock è identica).

Capitolo Di Caprio e attori. Non lo so, Leo, regge sicuramente tutto il film sulle sue spalle, regala una delle scene più memorabili dell'anno (la cocaina come gli spinaci per Braccio di ferro e tutto il pezzo prima dove è strafatto e semi paralizzato, come si fa a battere una cosa del genere?), in alcuni passaggi è pure un bravissimo comico. Una performance a tutto tondo insomma, ma a volte ricade nel suo solito modo di recitare, esagitato, iper drammatico. Forse la colpa non è sua, ma dei personaggi che gli appioppano. Se vince non mi lamenterò, anche se prima voglio vedere gli altri 4.
Pazzesco Jonah Hill, il nuovo Joe Pesci di Scorsese, e che pur di lavorare con il maestro s'è fatto abbassare lo stipendio al minimo salariale, il suo Donnie Azoff è sempre imprevedibile, a volte odioso, ma tremendamente divertente. Il perfetto braccio destro di Jordan, sia nel lavoro, quando se la prende con i dipendenti più scarsi, sia nei divertimenti. I suoi denti bianchissimi e il pisello di fuori quando vede Naomi la prima volta credo rimarranno indelebili nella mia memoria.
Infine, lodando un cast di supporto strepitoso su cui spicca Rob Reiner* (il papà di Jordan, quasi a fare il verso al Martin Sheen babbo di Charlie in Wall Street), Jean Dujardin e soprattutto P.J. "tappetino" Byrne e John Bernthal (di Walking dead), vale la pena ricordare anche la bellissima Margot Robbie, che avevo già ammirato in Pan Am, bomba sexy pronta a essere lanciata nell'olimpo delle star e le cui scene ignuda stanno già mandando in corto circuito internet.
Ah si, ha ragione chi si lamenta di troppo poco McConaughey (ma chi l'avrebbe mai detto, 3 anni fa che un giorno avremmo scritto una cosa del genere?), l'inizio è tutto suo, è lui che introduce noi e Jordan a questo mondo.
Spassosissimo, esorbitante, farsesco il nuovo film di Scorsese è un imperdibile viaggio nel mondo dei ricchi e degli anni 80, una bomba da cui si esce alticci, frastornati e ipergasati. Martin Scorsese diversifica sempre ma non sbaglia mai un colpo.

Piccolo spoiler, Jordan Belfort finì in galera per frode e manipolazione del mercato borsistico e non per aver prodotto The Secret Agent Club un film del 1996 con Hulk Hogan, ah le ingiustizie della vita!

*Piccole parti anche per altri 2 registi: Spike Jonze, è Duane nell'agenzia in periferia dove Jordan inizia la risalita e John Favreau è l'avvocato. 

Nessun commento:

Posta un commento