sabato 31 agosto 2013

In Trance di Danny Boyle

Nelle sale dal 29 settembre

Dopo una pausa dal cinema che lo ha visto impegnato con la cerimonia d'apertura delle olimpiadi di Londra, Danny Boyle torna dietro la macchina da presa con un progetto più modesto: Trance, remake di un omonimo film per la TV scritto e diretto nel 2001 da Joe Ahearne, qui nelle vesti di sceneggiatore a fianco di John Hodge, che non lavorava con Danny Boyle dai tempi di Trainspotting e The Beach.
Simon (James McAvoy), curatore d'aste e inguaribile giocatore d'azzardo, è completamente sommerso dai debiti di gioco. Per cavarsi d'impaccio si rivolge a Franck (Vincent Cassel) un pericoloso criminale che lo convince a fare da talpa durante il furto di un preziosissimo Goya. Il colpo sembra andato a segno, ma sul più bello Simon subisce un trauma cranico e dimentica dove ha nascosto il quadro. L'unica soluzione è l'intervento di un'ipnoterapista, così Franck e Simon si rivolgono alla bella e talentuosa Elisabeth Lamb (Rosario Dawson).
Un progetto più modesto perché Boyle, abbandonate quelle che qualcuno potrebbe definire storie più ambiziose, si butta su un piccolo film, un'onesta pellicola di genere in cui elementi del noir, del thriller psicologico e dell'heist movie classico vengono mescolati in maniera molto equilibrata.

lunedì 26 agosto 2013

Il bianco e il nero #52: Hedy Lamarr, la diva che inventò il cellulare e il Wi-Fi

"Devo smetterla di sposare uomini che si sentono inferiori a me. La fuori ci sarà un uomo che può essere mio marito senza sentirsi inferiore. Ho bisogno di un uomo inferiore superiore." Hedy tesoro, come si fa? Ma ti sei vista?

Molti di voi per raggiungere questo sito, probabilmente stanno usando una linea Wi-Fi con il proprio smart phone. E quanto è comodo averne una! Ti puoi spostare dove vuoi in casa tua o magari in giro per la tua città e usufruire delle gioie della rete senza per forza avere un collegamento fisso. E chi bisogna ringraziare per una simile scoperta? Un ampolloso professore americano con l'alito puzzolente e la forfora? Uno scienziato tedesco calvo con un braccio meccanico perso dopo uno dei suoi esperimenti? O magari uno studente asiatico di 20 anni tutto matematica e cartoni giapponesi? No nessuno di questi, fu una donna, una donna bellissima, giovane, un artista, un'attrice. Una dea di grande intelligenza, snobbata dal mondo della Scienza e usata ma mai accettata dal mondo del Cinema. Un'incompresa, forse un essere superiore per questo pianeta così insulso. Una che ancora prima di diventare qualcuno era già apparsa totalmente nuda sul grande schermo mentre copulava voracemente con un uomo qualunque. Una ragazza privata dal sorriso a soli vent'anni. Carnagione diafana, capelli ebano, occhi grigio-verdi e un fascino irresistibile. C'è chi la definì la donna più bella mai apparsa su uno schermo. Era Hedy Lamarr.

Hedy nacque Hedwig Kiesler il 9 novembre 1913 a Vienna figlia di una famiglia ebrea abbiente in cui babbo Emil era un businnessman di successo e mamma Gertrud era pianista. Per gran parte della sua infanzia, la vita fu uno spasso e rispecchiava le tappe tipiche delle famiglie alto-borghesi, per cui collegio in Svizzera, insegnanti privati, debutto in società etc... Hedy crebbe leggermente viziata e testarda. Già un bel tipetto.

giovedì 22 agosto 2013

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 7

Ve lo avevamo promesso ed eccoci qua, puntatona sul 66° Festival del Film di Locarno: parliamo di tutti i film e i cortometraggi in concorso (e non) che siamo riusciti a vedere. Poi si passa alle novità in sala in questi giorni: Monster University e L'Evocazione.
Buon ascolto!

[00:00:25] Chiacchiericcio vario
[00:03:00] News
[00:13:15] Locarno
I film in sala:
[01:42:00] Monster University
[01:49:30] L'Evocazione - The Conjuring







Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui!


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mercoledì 21 agosto 2013

Monster University di Dan Scanlon

Nelle sale dal 21 agosto.

A distanza di 12 anni dal fortunato primo capitolo, torna la premiata ditta dello spavento Mike Wazowski e James Sullivan nel primissimo prequel della storia Pixar, per la regia di Dan Scanlon (sceneggiatore di Cars e co-regista del corto Mater and the Ghostlight) e la sceneggiatura di Scanlon stesso, Daniel Gerson, già autore del primo capitolo e Robert Braid decennale collaboratore Pixar.
Prima che Mike e Sulley diventassero i migliori spaventatori per la Monster Inc. erano due studenti universitari della Monster University, facoltà di spavento. Mike era il classico sgobbone che passava tutto il tempo sui libri, uno sfigatello, suppliva le sue mancanze in statura e bruttezza con la teoria. Sulley invece era tutto l'opposto, dotato di grande talento e presenza, era un vero spaccone, nonché figlio di una vera leggenda, Bill Sullivan, crede quindi di avere tutte le carte in regola per essere il migliore e non prende neanche in considerazione l'idea di studiare o prepararsi per l'esame di fine corso.
I due finiscono per entrare in competizione e dopo l'ennesimo battibecco vengono espulsi dalla facoltà. Ma non tutto è perduto, infatti grazie alle spaventiadi, le olimpiadi del terrore, trovano il modo per farsi riammettere. Vincerle però non è semplice, prima di tutto perchè si ritrovano nella squadra peggiore e poi perchè devono finalmente mettere da parte i dissapori e unire le forze. Ce la faranno?

Come per Toy Story 3 (rivelatosi poi uno dei migliori Pixar e il migliore della trilogia) la domanda mi è sorta spontanea fin dall'inizio; ma era davvero necessario un altro capitolo, per giunta un prequel? Tralasciando la

lunedì 19 agosto 2013

Il bianco e il nero #51: La rivoluzione messicana e l'uomo dietro l'Oscar

"La conquista dell'Oscar può spesso essere seguita, quasi per reazione, da un periodo di depressione. [...] Una sorta di alchimia a rovescio: l'oro, una volta che lo si tiene tra le mani, diventa merda". Joseph L. Mankiewicz.

Quante volte abbiamo visto la scintillante statuetta del premio Oscar e quanti di noi sotto la doccia hanno inscenato un discorso di ringraziamento con lo shampoo a mo' di premio? Forse solo io, almeno per quanto riguarda la seconda, ma sono sicuro che chiunque di noi non disdegnerebbe un simile oggettino sopra il proprio caminetto o come fermacarte tra i propri cd.
Anche se molti attori non ammetteranno mai di sognarlo, tanti autori lo snobbano e gli spettatori più critici lo ritengono un premio datato, consegnato ogni anno non alla persona più talentuosa tra le papabili ma bensì a quella con più conoscenze, l'Oscar rimane uno dei più grandi obbiettivi da conquistare nella carriera di tutti coloro che si cimentano nel grande mondo del cinema.
Ma vi siete mai fermati un attimo a chiedervi da dove nasce quella tipica forma? Chi c'è dietro quel volto serio e quella spada minacciosa? Come mai si chiama Oscar? E chi diavolo sia questo Oscar? Bene, grazie a moi, oggi scoprirete tutto, ma proprio tutto quello che c'è da sapere così da impressionare i vostri amici al parco.

La vera storia dietro alla statuetta si snoda in due posti molto diversi tra loro e tuttavia non molto distanti: Los Angeles, più precisamente Hollywood, e le provincie settentrionali del Messico, quelle più vicine al confine americano. Partiamo però dalla prima zona.

Hollywood, anno del signore 1927.
Sala da ballo Crystal del Biltmore Hotel nel pieno centro di Los Angeles. L'intera sala è stata prenotata da

domenica 18 agosto 2013

Visione monca 2 - L'anno dopo. Bilancio finale su Locarno66

E un altro anno è passato, Locarno ci vediamo tra altri 360 giorni circa. Purtroppo come l'anno scorso, non sono riuscito a vedere tutto quanto, non sono riuscito a vedere tutto quello che volevo e non sono riuscito a stare quanto avrei voluto ma per lo meno sono riuscito ad andare su per molti più giorni e grazie all'accredito stampa ho pagato una bazzecola per vedere davvero tanta tanta tanta roba.
Che bello sentirsi a casa ad un festival così internazionale. Che bello ritrovarlo ancora organizzato così bene e così pieno di eventi, proiezioni, ospiti. Che bello trovare tanta gente come me, appassionata, curiosa, felice di condividere opinioni su un film sperduto taiwanese o su quello provocatorio tedesco. Che bello incappare per caso in giornalisti famosi, attori visti poco prima su schermo o vederli poco dopo e scoprire che avevo a fianco una futura stella. Che bello poter vedere dal vivo dive come Faye Dunaway, mostri sacri come Christopher Lee e Werner Herzog, icone come Anna Karina, maestri come Douglas Trumbull, affamate come Jacqueline Bisset (simpaticissima e vorace). Che bello sentire mille aneddoti sui propri film preferiti, come quelli raccontati da Giona Nazzaro prima di Oz in 3D. Che bello assistere subito dopo la fine del film a un incontro con domande e risposte insieme agli autori e agli attori, per porre tutti i quesiti che covavamo dentro durante la visione. Che bello condividere le emozioni di un film in una piazza gremita da 8000 persone e fare le ore piccole. 
Ovviamente l'anno prossimo sarò ancora qui con la viva speranza, organizzandomi per tempo, di soggiornare fisso e quindi di poter stare più tempo, stancarmi meno e soprattutto evitarmi ore di macchina (per quanto ami guidare). Vale davvero la pena spendere ore e ore su sedie assassine (questo è l'unico difetto) di auditorium enormi, teatri e cinema nuovi e tecnologici, per vivere una decina di giorni di Cinema.

E dato che è finito e che da poco si sanno i nomi dei premiati, due parole. 

sabato 17 agosto 2013

Il mago di Oz in 3D, anteprima mondiale a Locarno66

In occasione del prossimo 75esimo anniversario de Il mago di Oz, Warner Bros. ha deciso di dare una ulteriore dimensione al capolavoro di Victor Fleming. Il 15 agosto del 1939 veniva infatti presentata al Grauman Chinese Theater a Hollywood una nuova versione (la prima in lungometraggio dopo tanti corti muti) dell'omonimo romanzo di Frank L. Baum, mentre il 16 agosto 2013 a Locarno, è stata presentata la nuovissima edizione, in linea con i tempi moderni, in 3D. Bando alle ciance, sapete benissimo tutti di cosa parla e che cosa sia, quindi passerò subito a un giudizio stringato e entusiasta di questo "riadattamento".
Un plauso a tutti i tecnici che grazie a ore e ore di lavoro certosino sono riusciti, in primis a restaurarlo, un lavoro immagino già svolto per l'edizione Blu Ray di qualche mese fa e poi ovviamente per aver realizzato un 3D di grandissima qualità.
Non è una tridimensionalità del tipo più banale, con oggetti che arrivano addosso allo spettatore, anche perchè nel film non ce ne sono, per cui si sarebbe dovuto aggiungerli (e un Lucas George a caso lo avrebbe pure fatto) ma è stato svolto il miglior lavoro possibile quando si parla di profondità e immersione nella scena, grazie appunto alle tre dimensioni.
Fin dall'inizio sembra di poter toccare con mano i personaggi su schermo, tutti ben delineati e staccati dallo sfondo. Il massimo lo si raggiunge nelle riprese ampie, dei paesaggi quindi, in cui sembra di vedere attraverso a un finestrino o a una di quelle cartoline create su livelli. Quando Dorothy arriva a casa, vediamo la staccionata in primo piano, lei su un livello dietro, la casa, su un altro livello, ed infine lo sfondo, lontano. Una profondità strabiliante, che raggiunge l'apice con un piccolo particolare, ovvero una spiga di grano che punta verso la cinepresa. Sembra veramente che sia li, grossa come un quarto di schermo, a pochi metri da noi.
Paradossalmente il meglio lo da nelle prime sequenze virate sul seppia, ma si difende molto bene anche quando Dorothy si ritrova nel mondo iper colorato di Oz e nelle tante vedute aeree, realizzate ai tempi con dei disegni aggiunti in fase di montaggio. 

Mary Queen of Scots, Shu jia zuo ye, Real - Locarno66

-Mary Queen of Scots di Thomas Imbach
Concorso Internazionale

Thomas Imbach, che proprio a Locarno esordì con il suo primo lungometraggio, torna al Festival per presentare il suo primo film in lingua inglese: Mary Queen of Scots, libero adattamento della biografia di Stefan Zweig.
Mary Stuart (Camille Rutherford, già vista in Il treno per il Darjeeling), regina di Scozia a soli sei anni, viene inviata in Francia per essere educata alla corte di Caterina de' Medici. Appena adolescente sposa il legittimo erede al trono francese diventando anche la futura regina di Francia, ma il ragazzo muore in un incidente di caccia e Mary è costretta a fare ritorno in Scozia, un regno devastato dalla guerra sull'orlo di un nuovo conflitto contro l'Inghilterra protestante.
Biografie di personaggi femminili e film in costume sono quasi sempre un'accoppiata vincente, e quasi sempre generano un numero più o meno grande di cloni perfettamente anonimi. La differenza in questi casi la fa l'occhio del regista, e Thomas Imbach a fare qualcosa di diverso ci prova, a partire dalla scelta del personaggio in questione, Maria Stuarda, una figura storica forse meno ovvia e soprattutto meno sfruttata dal mondo del cinema, al contrario per esempio della sua "nemesi" Elisabetta I. E proprio su questa scelta Imbach riesce a costruire un film leggermente meno convenzionale, in cui la regalità diventa quasi una claustrofobica prigione intorno ai personaggi, un mondo irreparabilmente grigio che si chiude intorno a Mary molto prima della sua vera prigionia durata diciannove anni.
La Scozia offre quindi lo sfondo perfetto per ospitare questa sorta di purgatorio in terra, una distesa dura e inospitale dominata soltanto dalla natura selvaggia e da qualche isolato castello, residenze spartane lontanissime da quelle dell'iconografia classica dei film in costume, quasi delle spettrali rovine infestate dalle sagome nere dei nobili cattolici.

giovedì 15 agosto 2013

Un altro assaggio dei film in concorso a Locarno 66

Quest'anno a Locarno, tra conversazioni con dive e gustose proiezioni in piazza, sono riuscito a dedicare un po' di tempo anche ad alcuni dei film selezionati per il Concorso Internazionale.
Come al solito ce n'è per tutti i gusti, ma senza volerlo e senza nemmeno rendermene conto ho scelto quasi esclusivamente documentari (e in concorso ce ne sono molti) o film che in quealche modo affrontano il rapporto tra cinema e realtà (The Dirties per esempio, che però è in un'altra categoria).
Purtroppo non avrò la possibilità di vedere tutti i film in concorso, quindi mi risparmio qualsiasi tipo di pronostico, ma se dipendesse da me darei il premio a L'Étrange Couleur des larmes de ton corps senza nemmeno pensarci, un film che fa letteralmente sparire tutto il resto.
Ma bando alle ciance:


-E agora ? Lembra-me di Joaquim Pinto
Concorso internazionale


Joaquim Pinto ha avuto una carriera cinematografica molto intensa, tecnico del suono da oltre trent'anni, ha lavorato a fianco di registi come Raul Ruiz, Manoel de Oliveira e André Techiné, poi, alla fine degli anni 80', si è dedicato alla produzione e alla regia, realizzando una decina di progetti tra lungometraggi, corti e documentari.
E agora ? Lembra-me (E adesso ? Ricordami) è il suo ultimo personalissimo progetto, un documentario, o forse più semplicemente un documento, che racconta un anno di vita del regista, sottoposto ad una serie di cure sperimentali (e inutili) per tenere a bada l'HIV e l'epatite C, con cui convive da più di 20 anni.
Un film duro e impegnativo, per la mole (oltre 160 minuti), per l'impostazione rigidamente diaristica e soprattutto per le immagini che mostra, quelle di una malattia terribile che porta via un'intera generazione di amici e ti lascia quasi completamente solo. Oppure quelle di una cura che sembra quasi peggiore del male, dolorosa da affrontare e ancora più dolorosa da abbandonare.
Un diario, e quindi un'interminabile monologo che finisce per toccare di tutto, dal semplice dato biografico alla riflessione sulla situazione economica attuale, dalle prime esperienze cinematografiche all'auto-esilio thoreauano in campagna, insieme all'amico e amante Nuno Leonel.
Un voler parlare di tutto che non porta da nessuna parte, perché quasi subito il pensiero di Pinto si perde nel suo caos cronologico e si sfilaccia in una matassa di riflessioni rimaste in sospeso, ma anche questo fa parte del gioco cinematografico, come spiega Pinto, le medicine che assume gli impediscono di pensare e di ricordare correttamente, e lui ha sempre fatto cinema "senza pensarci troppo".
Un film che si riassume perfettamente nella sua prima immagine, una lumaca che striscia fino ad uscire dall'inquadratura. L'inerzia di un corpo che si trascina davanti alla macchina da presa sperando di lasciare un segno, la necessità quasi patologica di raccontarsi, e di farlo con il proprio strumento, il cinema e soprattutto il suono.

C'è una frase stupenda con cui Pinto racconta i suoi primi rapporti con il cinema: "Vidi Teorema di Pier Paolo Pasolini nel cinema più vecchio di Lisbona. Fu come se Dio fosse sceso in quel luogo dove di solito proiettvano solo pornografia.

mercoledì 14 agosto 2013

La magia malinconica di Alfonso conquista il pubblico di Locarno

Pardi di domani - Concorso nazionale. Giornata 12 agosto.
Categoria: cortometraggi.


Riassunto della prima giornata con i primi 5 corti in concorso qui.

L'Italia, sempre tra virgolette, dopo la prima ottima giornata di corti, conquista a parimerito anche la seconda. Infatti Hasta Santiago dell'italiano Mauro Carraro (emigrato in Svizzera da 3 anni) ha strappato moltissimi applausi. Qualcuno più, qualcuno meno di Alfonso di Jan-Erik Mack. Gli altri corti son piaciuti un po' meno. Sotto con l'approfondimento e alla fine la mia personale classifica finale.

Corti proiettati: Lui, Hitler et moi di Nathan Hofstetter, Skinny Boy di Lawrence Blankenbyl, Hasta Santiago di Mauro Carraro,  Alfonso di Jan-Erik Mack e Bonne Espèrance di Kaspar Schiltknecht. 
Il vincitore del pardino d'oro (oltre che di 10 mila franchi) e dei pardini d'argento verrà proclamato il giorno finale del festival, il 17 agosto.

-Lui, Hitler et moi di Nathan Hofstetter. 30'.
Quinta volta per Hofstetter a Locarno. Nathan e Olivier sono due malati di schizofrenia. Il primo si crede Gesù, il secondo Hitler. L'amicizia li unisce e forse li cura. Sembra una commedia? Si. Lo è? No. Devo ancora capire se il regista (oltre che interprete e montatore) sia malato o no, in ogni caso, per tagliare corto citerò due commenti sentiti dietro di me e dopo il timido applauso finale. "Questa roba non è niente" "Non si può portare questa cosa a un festival". Dura troppo, non dice molto, si limita a filmare due persone. Una delle due, sempre Nathan, è chiaramente innamorato della sua immagine. Allora, se voleva trasmettere l'idea della schizofrenia, ci riesce poco; se non voleva invece, e non so davvero cosa volesse fare, è un fallimento totale. Il peggiore del mazzo.

martedì 13 agosto 2013

L'Étrange Couleur des larmes de ton corps di Hélèn Cattet e Bruno Forzani - Locarno66

Un'altra locandina stupenda
Concorso Internazionale

Ci sono un sacco di ottime ragioni per fare un salto al Festival del film di Locarno, dagli ospiti illustri (quest'anno davvero numerosi e importantissimi) alla variegatissima selezione di film in concorso e non. Ma per il sottoscritto, quest'anno valeva la pena esserci anche solo per assistere alla proiezione di L'Etrange couleur des larmes de ton corps, il secondo lungometraggio della coppia belga Hélèn Cattet e Bruno Forzani. Amer, il loro film d'esordio, era entrato nella mia personale top 10 ancora prima dei titoli di coda, un'esperienza unica a metà tra cinema d'avanguardia e omaggio ai Gialli anni '70, e questa loro seconda opera prosegue nella stessa folle direzione.
Dan Kristensen (Klaus Tange) torna a casa da un viaggio d'affari all'estero. La porta è chiusa dall'interno e nessuno risponde, sua moglie Edwige è sparita nel nulla lasciando solo una cappelliera piena di giocattoli. Dan inizia a cercarla, prima nell'appartamento e poi nel resto del palazzo, ma incontra una galleria di inquietanti personaggi che riescono solo ad infittire il mistero. Nel frattempo la palazzina che lo imprigiona e la realtà intorno a lui iniziano a piegarsi su se stesse.

Conversazione con Jacqueline Bisset "Quanto si mangia bene sul set!" - Locarno 66

"Non ero una modella seria, lo feci solo per poter mangiare" inizia con questa correzione la conversazione con Jacqueline Bisset (per i maniaci della pronuncia è BisseT con la t dura, quindi non alla francese), e il cibo tornerà spesso nei ricordi dell'attrice inglese.
All'età di ... non si dice, è ancora una donna bellissima. Nessun ritocco, almeno visibile, due occhi che ancora stregano e tanta tanta classe. Ed è proprio per questo che molte cose che dice non te le aspetteresti mai da una così.
Iniziò a Londra, appunto come semi modella, un paio di foto con dei maglioni e aveva già recuperato i soldi necessari per fare la scuola di recitazione. Proprio tra le strade della capitale inglese conobbe Roman Polanski che stava dirigendo Repulsion. Un giorno vide per strada Catherine Deneuve che vagava senza metà, spenta, sembrava una poveraccia. Molto bella e molto triste. Solo dopo capì che si trattava di un film e Roman era nascosto da qualche parte con la cinepresa.

Il regista polacco ad una cena le disse "Dovresti fare l'attrice, sei molto introversa" ovvero l'esatto opposto che le aveva detto il suo insegnante, "Sei moto estroversa, dovresti fare l'attrice". Con Polanski girò Cul de sac, sperduti tra le valli scozzesi con un pub che non chiudeva mai e la troupe sempre alticcia. "Regista favoloso, un occhio e un talento incredibile" i ricordi di Jacqueline. Ma qual'era  la cosa migliore del film? Il cibo gratis.
Per poterlo girare la portarono da un dietologo perchè "troppo grassa"... Perse cinque chili e probabilmente andò sotto lo zero di peso. Ricorda che quando era sul set di Due per la strada, di Stanley Donen, la sua seconda particina, era una gioia poter fare la pausa pranzo. Vino, formaggi, tutti prodotti tipici francesi. "Ecco la grande differenza tra il cinema europeo e quello americano. Qui la pausa pranzo è sacra, mentre in America si mangia molto male e velocemente. Anche se ultimamente stanno migliorando e si mangia molto meglio".

lunedì 12 agosto 2013

Il bianco e il nero #50: Cary Grant ci era o ci faceva?

"I have no plans to write an autobiography, I will leave that to others. I'm sure they will turn me into a homosexual or a Nazi spy or something else."

Con questo sole che picchia senza sosta, le proprie forze ridotte al minimo, le ascelle pezzate e la palpebra che cala inarrestabile, l'unica attività culturale  che ci sembra più fattibile è quella di cambiare canale al televisore o giochicchiare con lo smart phone. Ma una volta giunti in spiaggia, mentre si prende il sole e ci si annoia...che si fa? Si legge. Si comprano gli Harmony a 2 lire o le riviste scandalistiche (ci caschiamo tutti), perchè di meglio proprio non si riesce. L'impegno è rimasto a casa, anzi, è in vacanza anche lui, ma altrove.

E allora ecco una lettura da Novella 2000. Cary Grant era gay o no?
Una piccola premessa. Cary è uno dei miei attori preferiti, forse insieme a Bogart il mio preferito. Aveva un talento comico irraggiungibile, era dotato di una classe ineguagliabile e rendeva un film migliore, che fosse una commedia, una romanticheria o un dramma, solo con la sua presenza. Perciò che gli piacessero le donne o gli uomini, poco mi importa. Sia chiaro, mi importa poco anche se fosse stato un attorucolo di poco conto. Insomma, chi se ne frega dei gusti sessuali di un individuo, chiunque esso sia.

Però attorno a Grant sono circolate per anni queste voci insistenti su una sua presunta omosessualità. Una sorte toccata a tanti, come per esempio Rock Hudson, poi rivelatosi realmente tale, o come attualmente tocca a George Clooney (il Grant moderno?). Uomini bellissimi, circondati da donne ancora più belle fuori dallo schermo e sullo schermo, sicuri di se, ricchi, famosi.
Che sia solo invidia? Può darsi, e non c'è ancora oggi insulto peggiore per lavare un ingiustizia come "lui è più bello/ricco di me" che accusare qualcuno di essere una checca. Roba da quinta elementare ma sempre funzionante. Però com'è possibile accusarli di tale offesa, non è forse un paradosso? Sarebbe come accusare un capellone di essere calvo. Insomma, questi sono pieni di donne, le sposano pure sovente.

Tutto vero, ma è vero anche che questi uomini sono purosangue di scuderie rinomate da milioni di dollari mensili, che rispondono al nome di Warner Bros., Columbia, Paramount etc... le quali farebbero di tutto pur di nascondere una magagna legata a uno dei propri elementi, che sia la tossicodipendenza, la passione per l'alcol o per il gioco, fino appunto alle proprie deviazioni sessuali.
Se io vi spaccio un attore per un latin lover, per uno che tromba come un ossesso, così che, quando poi ve lo ritrovate in scena nel tentativo di corteggiare l'attrice co-protagonista, ci credete, o no? Se invece si dovesse rivelare tutta una finta (una recita? nel cinema?), non vi sembrerebbe tutto meno sincero? Meno bello? Gran gran chi se ne frega? Eh no, invece no, è ingiusto nei confronti del pubblico. Quindi meglio insabbiare tutto. Adesso arriviamo a Grant.

domenica 11 agosto 2013

L'Evocazione - The Conjuring di James Wan

In anteprima il 10 agosto
Nelle sale dal 21 agosto

L'estate 2013 si sta rivelando davvero un periodo d'oro per l'horror hollywoodiano, almeno dal punto di vista degli incassi. Dopo il sorprendente successo di La notte del giudizio è la volta di The Conjuring, con un successo di critica e pubblico molto più grande (oltre 40 milioni nel primo weekend e 100 complessivi) ma probabilmente meno inaspettato. Dietro la macchina da presa c'è infatti James Wan, il giovane regista che si era fatto notare con Saw e aveva ottenuto una piccola consacrazione con il discreto Indisious.
Insomma ad attendere The Conjuring erano in tanti, e visto che con tutti i suoi difetti Insidious mi aveva divertito come non mi capitava da tempo, in mezzo mi ci metto anche io.
Ed e Lorraine Warren (Patrick Wilson e Vera Farmiga) sono due celebri esperti del paranormale. Lorraine in particolare ha la capacità di percepire chiaramente le presenze demoniache, un dono che permette ai coniugi di effettuare studi sul campo e di praticare occasionali esorcismi. Proprio durante uno di questi riti Lorraine subisce un terribile shock che spinge Ed ad abbandonare le ricerche, ma quando la famiglia Perron (la madre è interpretata da Lily Taylor) bussa alla loro porta implorando aiuto Lorraine si sente pronta a ricominciare.

A Locarno sono arrivate le dive - Faye Dunaway e Anna Karina


Pranzo con Faye Dunaway e cena con Anna Karina. Niente male come programma. Nella giornata del 9 agosto, sono arrivate a Locarno due dive con la D maiuscola. Due esponenti, due volti di due mondi cinematografici totalmente differenti. Una bionda e l'altra mora, una americana e l'altra francese, una cresciuta con il metodo di Strasberg e Stanislavksij e una co-fondatrice della Nouvelle Vague, una è una creatura da palcoscenico ancora oggi e l'altra quasi una bambina, timida e fragile. Faye Dunaway e Anna Karina non potrebbero essere più diverse.

Ore 10.30 Conversazione con miss Faye Dunaway. Tutte le dive però, si sa, si fanno aspettare e la mitica Bonny di Gangster Story si è presentata con un piccolo ritardo di 90 minuti (per non so quale motivo). Bodyguard al seguito (un vero pirla, lasciatemelo dire), radiosa, attenta alle luci, a che lato mostrare ai fotografi, ha sollevato uno scroscio di applausi di un pubblico per nulla deluso dalla lunga attesa.
Durante la lunga intervista condotta da Carlo Chatrian, sono stati toccati diversi punti della sua carriera. Si è partiti come di consueto dall'infanzia, passata tra la campagna e i prati della Florida, un elemento che l'ha avvicinata molto proprio al personaggio di Bonny Parker, per poi passare ai primi passi in teatro, insieme niente meno che a Marlon Brando, definito "divino".
Tanti gli uomini nella sua carriera e tutti o quasi talenti irraggiungibili nella storia del cinema. Primo di tutti Warren Beatty, ovvero Clyde, che assemblò pezzo per pezzo Gangster story, scegliendo regista, sceneggiatore, interpreti. "Warren era un uomo molto affascinante, oltre che un bravissimo attore, ma la cosa che lo rende davvero seduttivo è l'intelligenza". Poi Lumet e il nuovo modo di fare cinema, fatto di ritmi alti, dialoghi serrati, "sennò perdi il pubblico. Adesso ad esempio un maestro in questo senso è David Fincher. Lo adoro, ho visto Zodiac 21 volte e prendo sempre nota con un taccuino".

Appunti per la sua nuova professione. Infatti vuole diventare regista e portare finalmente su grande schermo il film su un personaggio che lei ama moltissimo, Maria Callas. Un progetto nato anni fa, quando a teatro interpretò una pièce ispirata alle lezioni americane tenute dalla cantante. "Ho accettato di interpretarlo solo a patto che mi venisse concessa la possibilità di comprare i diritti, non per avere il controllo assoluto, ma per scegliere il giusto team. Lo studio ha bloccato tutto. A volte prendono decisioni terribili, perciò ho acquisito i diritti con i miei soldi".

sabato 10 agosto 2013

The Dirties di Matt Johnson - Locarno66

Concorso Cineasti del presente

Si aprono in bellezza questi nostri (pochi) giorni al Festival del film di Locarno. La prima tappa è dedicata a The Dirties del giovanissimo Matt Johnson, uno studente di cinema canadese che si era fatto notare in patria con una web series e un piccolo cortometraggio sbarcato al Toronto International Film Festival. Ed è proprio l'esperienza al Talent Lab del TIFF che gli ha dato l'idea per un lungometraggio.
The Dirties è la storia di Matt (interpretato dal regista) e Owen, due studenti del liceo che trovano nell'amicizia reciproca un rifugio contro le angherie dei bulli. Matt in partiolare è un grandissimo appassionato di cinema, e insieme all'amico del cuore dedica tutto il suo tempo libero alla realizzazione di piccoli film. Il loro ultimo progetto, The Dirties, è la storia di due poliziotti che cercano di liberare la città (la scuola) da una banda di pericolosi criminali (i bulli, o "dirties"). Ma il progetto scolastico sfugge loro di mano.
The Dirties è uno di quegli esordi fulminanti che non capitano proprio tutti i giorni, un ottimo film ma soprattutto un lungometraggio sorprendentemente complesso per un regista così giovane e culturalmente distante da determinate tematiche.

La piazza Grande a Locarno riscopre il cinema italiano e la follia geniale di Quentin Dupieux

Piazza Grande, serata 9 agosto.

Wrong Cops di Quentin Dupieux.
( Presentato a Locarno in anteprima mondiale).
Dopo Rubber e Wrong (anch'essi passati da Locarno in passato) cosa si può fare? Si può continuare nella stessa direzione a rischio di diventare stantii o ripetitivi o addirittura di non riuscire a superare se stessi e fallire? Oppure si può cambiare totalmente tutto e buttarsi su un altro genere spiazzando il pubblico, prendendosi un altro tipo di rischio?
Dupieux, il mr. Oizo della musica techno, sceglie la prima strada e continua col suo percorso di cinema non sense. E alla faccia nostra, ce la fa, Wrong Cops è un altra commedia ad alto tasso demenziale riuscita, esilarante e cosa più importante, per nulla forzata o priva di genuinità.
La sua genesi è già di per se un casino. Prima di tutto non è il seguito di Wrong, Dupieux ha detto "Sono solo pigro coi titoli". Secondo nacque come corto, presentato a Cannes l'anno scorso. Questo, della durata di 13 minuti è diventato il primo capitolo di una serie. I primi tre episodi-capitoli sono andati al Sundance. Poi aggiungi che ti aggiungi è diventato un film di 85 minuti.
Ora...come si riassume una trama di un film simile (e vale per tutti i suoi film)? Ecco, a Los Angeles c'è un corpo di polizia molto strano. Duke oltre che essere, a detta sua, un vero intenditore di musica è anche uno spacciatore...sui generis. Impacchetta la marijuana nel ventre di alcuni bei ratti di grandi dimensioni, richiusi per bene con del nastro adesivo, in modo da poter spacciare senza essere beccati. Rough è un appassionato di techno e pensa di aver creato una hit di successo mondiale, ma chiunque la ascolta gli assicura di aver creato solo una schifezza. Un po' di aiuto gli arriva da un uomo agonizzante. Sunshine è un ex poliziotto e tossicodipendente. Il suo passato nasconde un servizio fotografico per una rivista omosessuale dove viene penetrato più volte. Qualcuno lo scopre e lo ricatta. Renato ha una passione sfrenata per il seno femminile e Shirley non prende mai sul serio il proprio lavoro.

L'Italia del corto fa la parte del "leopardo" a Locarno 66

Pardi di domani - Concorso nazionale. Giornata 9 agosto.
Categoria: cortometraggi.

I Pardi di domani è una sezione dedicata alla scoperta di nuovi talenti tramite la presentazione di corti e mediometraggi al grande pubblico del festival, realizzati da giovani autori indipendenti o da studenti di scuole di cinema non ancora alle prese con il lungometraggio. 
Si divide in due categorie distinte: una che comprende le opere internazionali e una seconda (quella di cui parlerò ora) comprendente le opere di produzione elvetica. Presidente della giuria che decreterà il premio, il regista e critico cinematografico Adriano Aprà, insieme alla produttrice spagnola Marta Andreu, il regista kazako Emir Baigazin, l'attore e regista francese Gregoire Colin e il regista svizzero Basil da Cunha.

Durante la giornata del 9 agosto sono stati presentati 5 corti. Il francese Sortie de route, il ticinese Vigia, lo svizzero La fille aux feuilles, il catanese 'A iucata e il tedesco Freunde*. 
A grande sorpresa sono i due "italiani" ad aver raccolto la maggior parte degli applausi del pubblico.
*(ovviamente, essendo concorso nazionale sono tutti di produzione svizzera, ho solo specificato la lingua o il dialetto parlati).

- Sortie de route di Tristan Aymon e David Maye. 28'. 
Il quattordicenne Paul ha pensieri solo per il suo scooter due tempi e nessuno per la scuola. Dopo aver lasciato per un attimo incustodito il suo prezioso mezzo, questi gli viene rubato. Nessuno sa chi l'ha preso ma molto presto lo scopre da sè. E' stato Karim un coetaneo che lavora come aiutante presso un garage. Nonostante l'odio iniziale, tra i due inizia una strana amicizia, legata dalla passione comune per i motori e la meccanica. Questo corto concorrerà per la nomination agli European Film Awards 2013.
Un'opera dardenniana nella sua impostazione, con due interpreti, presenti in sala, molto giovani e molto bravi, grazie alla loro spontaneità. Molto ben scritto, riesce in poco meno di mezz'ora a raccontare una storia completa con un finale a sorpresa. Il pubblico ha gradito molto. 

venerdì 9 agosto 2013

Tra lirica e imitazioni di gatto Silvestro, la conversazione con Christopher Lee - Locarno66

Neanche la pioggia può fermare uno come sir Christopher Lee. Oltre 200 film all'attivo in cui è stato di volta in volta, il re dell'horror (anche se lui non ama questa definizione), uno dei cattivi più memorabili della saga di James Bond, Scaramanga, l'uomo dalla pistola d'oro, il conte Dooku di Star Wars e Saruman de Il signore degli anelli, due delle saghe più amate del nuovo millennio, Fu Manchu, Mohammed Ali Jinnah, Rochefort, Dracula e questi non sono solo che alcuni dei suoi ruoli più celebri, all'interno di una carriera iniziata ben 67 anni fa.
E se questo non dovesse bastare, è stato uno degli ospiti di maggiore successo nella storia del Saturday Night Live, ha prestato la sua voce a molti videogiochi e si è persino buttato nella lirica per rinascere oggi come cantante heavy metal con due dischi all'attivo.
"Sorprendere sempre il proprio pubblico" così ha detto oggi ad un pubblico divertito e appunto sorpreso dalla mille facce di un artista eterno. Nell'intervista "condotta" da Emmnauel Burdeau senza una struttura precisa (o meglio, c'era ma è saltata presto davanti agli aneddoti di sir Lee), l'attore inglese si è lasciato andare ai ricordi più spassionati legati ai suoi film e ai suoi colleghi. 
Come Peter Cushing, con cui ha lavorato in decine di film, attore e persona formidabile, "sapeva prepararsi la pipa, leggere il giornale, recitare e bere il te nello stesso momento, senza nessuna difficoltà" ricorda Lee "ma aveva anche un piccolo difetto. Pronunciava le T in modo molto marcato. Io lo prendevo spesso in giro ma lui non se ne accorgeva mai". Un'amicizia durata decenni e coronata da tanti scherzetti come quando Lee chiamava spesso Cushing al telefono imitando di volta in volta diversi personaggi dei cartoons, da Silvestro a Yosemite Sam (riproposti al momento e ancora molto somiglianti).

giovedì 8 agosto 2013

Sai nam tid shoer (By the river) di Nontawat Numbenchapoi - Locarno66

Concorso Cineasti Del Presente.

Secondo lungometraggio del giovanissimo regista thailandese classe 1983 (sembra addirittura più giovane dal vivo) laureato in comunicazione visiva all'università di Bangkok. Come per il suo primo lavoro Boundary (Fahtum pandinsoong, presentato al festival Berlino quest'anno) ci troviamo di fronte a un'opera a metà tra il documentario e il film vero e proprio. Un confine labile tra presenza di una sceneggiatura o totale assenza, attori veri o semplici indigeni del posto, struttura vera e propria concordata a tavolino o semplice lavoro di cronaca.
By the river (me la cavo velocemente senza ripetere il titolo originale) è un film politico, di denuncia. Si sviluppa nel cuore della foresta tropicale, all'interno della provincia thailandese di Kanchanaburi,  e più precisamente nel piccolo villaggio Klity. Gli abitanti (il regista in fase di presentazione ci ha tenuto a precisare come vivano senza una connessione internet, senza cellulari o apparecchi di alta tecnologia) hanno sempre condotto una vita serena divisa tra la pesca nel vicino torrente, che arriva fino a Bangkok, e la vita in famiglia. Tutto cambia quando il corso d'acqua viene inquinato dalla fabbrica di un imprenditore senza scrupoli e senza rispetto per l'ecosistema. Il film dopo una cornice riassuntiva della vita del villaggio, racconta brevemente come sia cambiata la vita per gli abitanti della zona e soprattutto il processo inutile in quanto non ha risolto niente.

Omaggio a Jacqueline Veuve - Locarno66

Appellation Suisse presentato da Swisscom.

Il Festival di Locarno ha dedicato il pomeriggio di oggi al ricordo di Jacqueline Veuve, prolifica documentarista svizzera scomparsa all'età di 83 anni lo scorso aprile. Alla presenza del marito e del suo capo operatore Hugues Ryffel sono stati proiettai due suoi lavori: il cortometraggio Les Frere Bapst, charretiers (I fratelli Bapst, carrettieri) e il mediometraggio La Petite Dame du Capitole, rispettivamente del 1989 e del 2005.
Il primo raccconta una tipica giornata di lavoro invernale dei fratelli Bapst, Romain, Maurice e Jacques, nella loro casa di La Roche, nel canton Friborgo. Durnate i mesi freddi tagliano la legna e la trasportano a valle sulla loro slitta trainata da cavalli.
Il lavoro certosino, gli sforzi fisici immani dei fratelli e dei loro splendidi animali, il clima ingeneroso, rendono ogni spedizione un'avventura ma anche un'occasione per scherzarci sopra. Le riprese, come ha raccontato Ryffel, sono state condotte da lui personalmente con ampia libertà, mentre la Veuve si trovava a valle pronta per montarle nel miglior modo. La voce fuori campo (un classico di Veuve) di uno dei fratelli, racconta e descrive ogni passaggio del complesso processo.

lunedì 5 agosto 2013

Il bianco e il nero #49: Classic noir: La morte corre sul fiume (1955)

La morte corre sul fiume
(titolo originale The Night of the Hunter)
 nelle sale inglesi il 26 luglio 1955, in Italia il 19 gennaio 1950.

Regista: Charles Laughton.
Sceneggiatore: James Agee, Davis Grubb (romanzo).
Direttore fotografia: Stanley Cortez.
Montaggio: Robert Golden.
Compositore: Walter Shumann.
Produttori: Paul Gregory.
Studio: United Artists, Columbia Pictures, MGM.
Interpreti: Lillian Gish, Robert Mitchum, Shelley Winters, James Gleason, Evelyn Warden.
Durata: 86 minuti.
Colore: b/n.

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*Trama:

domenica 4 agosto 2013

La notte del giudizio di James DeMonaco

Al cinema da giovedì 1 agosto

La notte del giudizio (The Purge) è l'ultima scommessa della Blumhouse di Jason Blum, uno dei produttori dietro molte delle principali produzioni horror recenti, da Paranormal Activity al discreto Sinister. Uno che sa quello che fa insomma, e infatti The Purge, con un budget di appena tre milioni di dollari, ne ha incassati più di trenta solo nel primo weekend, aprendo la strada ad un seguito in meno di un nanosecondo.
Per porre fine all'ondata di povertà, disoccupazione e criminalità che ha portato l'America sull'orlo del baratro, i Nuovi Padri Fondatori istituiscono lo "sfogo" annuale (La Purga aveva un suono troppo scatologico), una finestra di dodici ore nella notte del 5 luglio in cui le leggi vengono soppresse e ognuno è libero di dare sfogo alle proprie pulsioni animalesche per il bene del paese.
Il 5 luglio del 2022 la famiglia Sandin (Ethan Hawke, la belissima Lena Headey e relativa prole) si barrica in casa dietro un sofisticatissimo sistema di sicurezza, disposti ad accettare lo sfogo ma non a parteciparvi.