martedì 19 novembre 2013

Il passato di Asghar Farhadi

Nelle sale dal 21 novembre.

Che potenza il cinema iraniano. Nato da poco -quello odierno nasce post rivoluzione islamica fine anni 70- ma già capace di produrre talenti invidiati da mezzo mondo. Tutto nacque con i Kiarostami, oggi conosciuto ad ogni latitudine, e i Makhmalbaf o i Naderi, un cinema aderente alla realtà, semi documentari che rispecchiavano la contemporaneità di un paese da sempre martoriato da guerre, dittature, opprimenti dogmi religiosi, e che allo stesso tempo la stravolgevano, giocavano con il rapporto reale-fantastico come solo i grandi artisti sanno fare.
Una generazione che ha permesso ad altri autori di venire fuori, come Mehrjui, Ayyari o addirittura donne, come Tahmineh Milani, o Samira  Makhmalbaf, figlia di Mohsen, e Marjane Satrapi senza dimenticare il pruri premiato e ancora oggi agli arresti, Jafar Panahi. Un cinema che nonostante mille ostacoli, tra cui una censura sempre più abbordabile ma pur sempre presente, riesce a produrre una sessantina di film l'anno -numero ormai stabile da qualche tempo. Pochi film ma percentuale di successo e qualità strabiliante. Sarà l'ambiente di ristrettezze che produce tali menti, chissà -o la (voglia di) fuga. Non ultima di queste è quella di Asghar Farhadi, salito alla ribalta nel 2009 con About Elly, vincitore dell'Orso d'argento di Berlino e ancora di più due anni più tardi quando ha portato a casa l'Oscar (oltre a Golden Globe e Orso d'oro) per miglior film straniero con il meraviglioso Una separazione, primo nella storia. Il passato inizia quasi dove Una separazione finiva.
Ahmad dopo 4 anni, torna a Parigi da Teheran, su richiesta dell’ex-moglie Marie, per definire le ultime pratiche di divorzio. L'uomo non ostacola in nessun modo la decisione della donna, neppure dopo aver scoperto di Samir, nuovo compagno di Marie, e della gravidanza. A porre in serio dubbio la loro relazione è la moglie di Samir, in coma dopo aver tentato il suicidio. Cosa ha provocato questo suo gesto disperato e uscirà mai dal coma? Sono due interrogativi fondamentali per tutte le persone coinvolte. Per poter vivere il presente, bisogna prima convivere e risolvere i dubbi del passato.
Se il film precedente trattava le cause, questa volta vediamo le conseguenze di una separazione tra due persone. Le ferite che lascia, il passato comune che rimane legato come un macigno, sentimenti seppelliti da alcuni ma non da tutti. E a subire di più sono sempre i più deboli, i bambini, incolpevoli e obbligati a subire le decisioni degli adulti. La ribellione di Fouad, che comprende la situazione molto più di quanto la sua giovane età consentirebbe, ma che al contempo non accetta, e Lucie, già teenager, ma al secondo divorzio, al terzo "papà" e propensa alla fuga, al mutismo.
E chi ne paga le conseguenze è anche chi si ritrova in mezzo, come la moglie di Samir, in bilico tra la vita e la morte, tra la rassegnazione di perdere il marito per sempre e la rabbia. Intorno alla sua figura e al suo tragico gesto si crea un giallo in cui tutti o quasi sono coinvolti.
Il dramma diventa un giallo dove bisogna trovare il "colpevole" e dove la vittima non può aiutare. E' la depressione ad averla spinta al suicidio, scagionando i due amanti, o è il fatto di averli scoperti? O è un mix delle due cose? O è stata la rabbia verso una cliente e il non appoggio del marito in una discussione? E chi avrebbe potuto spifferare tutto, e come può vivere con questo peso sulla coscienza? Impossibile poter proseguire così, senza una soluzione, senza una risposta. Cose che Farhadi non vuole sicuramente dare allo spettatore e ai suoi protagonisti, sospesi e in attesa, con un finale aperto che riporta in crisi di nuovo tutto quanto.
Farhadi (e Massoumeh Lahidji, già collaboratore di Kiarostami per Copia conforme), per la prima volta lontano dall'Iran -la Francia continua a essere terra florida per artisti da tutto il mondo- si conferma penna sopraffina e regista naturalistico di livello eccelso. Tutti i complimenti che sono stati scritti per la solidissima sceneggiatura di Una separazione si possono copia-incollare per questo film; una stesura lineare, granitica, senza nessuna sorta di falla o imprecisione, corredata da dialoghi realistici e naturali, e una messa in scena di stampo teatrale, dove sullo schermo si affrontano e confrontano sempre al massimo due attori, due persone, e quando entra un terzo -in comodo-, uno dei due precedenti esce di scena, come un valzer.
Anche la recitazione del terzetto protagonista è tra le più naturali possibili, frutto di un lungo lavoro, un lungo studio, tutti assieme -soprattutto con Bejo- per non essere mai forzati, mai far sembrare che si tratti di una recita. Eppure è proprio tutto questo perfezionismo il neo del film.
La posata e scorrevole regia, la sceneggiatura intoccabile cozzano con una realtà e la vita, mai perfetta e mai così instradata su binari. E' tutto troppo impostato -il che è paradossale dirlo dopo aver lodato la naturalezza, ma è così- tanto che il dramma, forte e complicato, è imbrigliato, trattenuto e non riesce a sprigionarsi con la giusta forza. Manca la ruvida grezzezza di Una separazione per fare centro totale.
Tuttavia non nasconde la bontà di un film (im)perfetto, forse eccessivamente lungo e che gira un po' a vuoto nella seconda metà della seconda parte, tra i migliori di Cannes e tra i migliori di questo 2013 in conclusione.

Ecco quindi che per quanto si possa apprezzare una Berenice Bejo struggente, la si vede troppo spesso composta, calma, fino a che non esplode in singhiozzi e urla di disperazione, in una recitazione perfetto simbolo dei pregi e dei minimi difetti del film stesso. Più sommessi Tahar Rahim e Ali Mosaffa, mentre molto bravi i giovani protagonisti, da Elyes Aguis, il piccolo Fouad, a Pauline Burlet.

Il passato rappresenterà l'Iran ai prossimi premi Oscar, se entrerà nella cinquina finale.

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