sabato 5 ottobre 2013

Gravity di Alfonso Cuarón

Nelle sale dal 3 ottobre

Stando alle parole del regista e co-sceneggiatore Alfonso Cuarón, Gravity è uno di quei film sognati a lungo e accantonati per le ragioni più disparate. In questo caso il limite era la tecnologia, così l'idea di Alfonso e Jonas Cuaron è rimasta a fermentare per qualche anno, finché James Cameron (che del film sta parlando benissimo) e il suo Avatar (2009) non sono arrivati a smuovere le acque. A distanza di quattro anni, dopo una lunga e meticolosa preparazione, Gravity arriva finalmente nelle sale.
Ad un passo dal record per il numero di ore trascorse nel vuoto, l'astronauta esperto Matt Kowalski (George Clooney) accompagna l'ingegnere biomedico Ryan Stone (Sandra Bullock) nelle operazioni di aggiornamento del telescopio Hubble; per lui è l'ultima passeggiata nello spazio, per lei la prima. Una missione da manuale che si trasforma in catastrofe non appena uno sciame di detriti distrugge lo shuttle. Matt e Ryan sono gli unici superstiti, abbandonati nel vuoto, nel più desolante silenzio radio, dovranno trovare un modo per tornare a casa.

Etichettato un po' dappertutto come fantascienza, e di conseguenza oggetto di paragoni più o meno stridenti, Gravity è in realtà il classico racconto di formazione e sopravvivenza che, con le dovute proporzioni, potrebbe essere accostato a pellicole come Frozen, Open Water o il recente The Grey. Storie di individui qualunque (anche se qui si tratta di astronauti addestrati) catapultati in ambienti ostili e costretti ad affrontare i propri demoni pur di sopravvivere. In questo caso ad emergere come protagonista è Ryan, donna segnata dall'immancabile dramma e rinchiusa in una forma di esilio autoinflitto di cui lo spazio diventa ovvia metafora. Mentre Matt alla sua ennesima passeggiata nel vuoto è estasiato e divertito come la prima volta, Ryan vive l'esperienza con sorprendente distacco. Per lei l'avventura spaziale è quasi una punizione cercata, e di conseguenza, secondo le regole ferree di questo tipo di film, si trasforma proprio in un terrificante contrappasso.
Gravity, soprattutto nelle prime sequenze, è un'esperienza divertente e intensissima, un lungo ottovolante in cui i momenti di tensione si accumulano uno dietro l'altro senza lasciare allo spettatore un attimo di tregua, al punto che, quando i personaggi si agitano alla disperata ricerca di un appiglio, si vorrebbe quasi allungare le mani verso lo schermo per non andare alla deriva con loro (complice anche uno dei pochi 3D riusciti).
Per accentuare questo effetto ottovolante, Cuarón sceglie di raccontare la storia attraverso una serie di pochi lunghissimi piani-sequenza, forse la tecnica più adatta a rievocare le sensazioni e le dinamiche del movimento in assenza di gravità, dove gli spostamenti non sono mai bruschi, ma sempre fluidi e continui. La macchina da presa si trasforma quindi in un occhio perso nello spazio insieme ai protagonisti, privato come loro di qualsiasi punto di riferimento e come loro completamente in balia della gravità, che all'occorrenza può anche spostarlo all'interno dei caschi per offrirci una visuale soggettiva. Continuo movimento per una continua ricerca della paura, che sia quella di essere trapassato da un meteorite o quella di sparire nel vuoto mentre le scorte di ossigeno crollano a picco. Tutto bellissimo, ma dopo un climax così spettacolare ed emozionante è difficile tenere il passo, e infatti Gravity ogni tanto inciampa. Le scene all'aperto cedono il posto agli stretti cunicoli delle basi spaziali e, per esigenze di trama, il caos viene accontonato in favore sviluppi più lineari e prevedibili (penso per esempio alla scena dell'estintore, che tra l'altro ricorda Wall-E).
Altra cosa che mi ha lasciato perplesso è la mole di dialoghi. Per un film ambientato nello spazio, dove il suono non si propaga e "nessuno può sentirti urlare", le chiacchierate non mancano. I personaggi parlano un sacco, e più parlano, meno sembrano naturali, soprattutto quando si ritrovano da soli e sembra che debbano riempire i silenzi a tutti i costi (penso a Sandra Bullock che annuncia le manovre a voce alta, ma con chi ce l'ha ?). Eppure è un fastidio relativo, perché l'avventura pazzesca di Ryan Stone, con tutta la sua retorica, le sue melensaggini e i suoi cliché, è una storia di rinascita che riesce ancora ad emozionare, come la spaventosa bellezza dello spazio profondo.
Detto questo, volevo concludere con un paio di riflessioni.
La prima riguarda i piani-sequenza, veri co-protagonisti del film insieme a Sandra Bullock. Ammirandoli mi sono chiesto: quale valore hanno in un film in cui la computer grafica ha un ruolo tanto preponderante ?
Come ho già detto, oltre ad essere spettacolari, sono proprio loro a rendere possibile e "unico" un film come Gravity, eppure ho sempre pensato che la bellezza di un piano-sequenza derivi anche e soprattutto dalla difficoltà che ha comportato il realizzarlo. Penso per esempio ad Arca Russa di Sokurov o a Nodo alla Gola di Hitchcock, e poi mi vengono in mente le divertentissime sequenze del Tintin di Steven Spielberg, spettacolari quanto quelle di Gravity ma molto meno discusse.
Insomma cosa rende grande un piano-sequenza ? La sua complessità ? Il significato che assume all'interno del film ? L'impatto visivo ? Tutte queste cose insieme ? Sto pensando ad alta voce, non dovete rispondere per forza.
L'altra riflessione è legata alla precedente. Nel film ci sono due scene in cui delle gocce d'acqua si poggiano sulla lente della macchina da presa. Visto che è chiaramente un effetto ricercato, ho subito pensato che fosse un modo per portare lo spettatore all'interno della scena (la goccia è sugli occhiali ?), ma quando è successo ho pensato anche a tutte le volte in cui il riflesso della macchina da presa (o il mio ?) è stato rimosso dal vetro dei caschi. Il punto è questo: i mezzi con cui un film del genere cerca di eliminare le barriere e mascherare la finzione cinematografica (piani-sequenza, computer grafica) finiscono spesso per rendere evidente quella finzione, almeno per uno spettatore come me.



Nessun commento:

Posta un commento