sabato 15 giugno 2013

La Casa alla fine della strada di Mark Tonderai

Nelle sale dal 13 giugno.
Anche conosciuto come Hates - House at the end of the street.

La neo divorziata Sarah e sua figlia diciassettenne Elissa si trasferiscono dalla chiassosa e pericolosa Chicago in una piccola cittadina della provincia americana, immersa nei boschi e nel buon vicinato. La nuova casa è un vero sogno, giardino enorme, due piani, tutta in legno e lontana da rumori fastidiosi. L'unico problema è che confina con un'altra casa, che credevano disabitata, dove anni prima furono commessi atroci delitti. La figlia dei vicini, in un raptus omicida, ha ucciso i genitori e poi il suo corpo non è stato più ritrovato ma si crede sia annegata nel fiume vicino. Ora il suo inquilino è l'altro figlio Ryan, lontano dalla famiglia quando avvennero i fatti. Tutti in paese lo deridono o ne hanno timore, ma Elissa scopre che in realtà è un ragazzo timido e delicato e tra i due scatta la scintilla dell'ammore. E poi parte il colpo di scena.
Oh prima o poi Jennifer Lawrence un film doveva sbagliarlo (ai tempi delle riprese, 2010, non era ancora la diva del momento e il fatto che il film esca proprio ora è un vero colpo mancino), non è che poteva rimanere immacolata a vita. Certo X Men non è che sia un vanto o Hunger Games un capolavoro, ma erano pop corn movies al limite della tolleranza. Stavolta no, è inciampata (dopo gli Oscar) in un horror semplicemente insignificante. Sarà difficile quindi raggiungere le canoniche 30-40 righe, abbiate pietà.
Non è neanche un brutto film, ma è noioso e si, insignificante, non c'è un altro aggettivo che gli stia meglio.
Tenta di fare l'occhiolino a Psycho unendo il suo Norman Bates a Michael Mayers e dandogli la faccia di un imbecille (l'attore Max Thierot). Il torpore in cui è sprofondato lo spettatore si "interrompe" quando i ragazzi del liceo picchiano a sangue e senza senso il nostro Ryan, la classica scena dove il buono viene margnolato e tutti soffrono per lui, ma quando si ribella e spacca giù tutto, viene visto come un pazzo isterico e soprattutto violento. "Oh stavamo scherzando, ma tu hai voluto calcare la mano".
Ecco che finalmente la storia inizia, peccato (o per fortuna) che sono passati già 60 minuti e ne mancano solo 30 circa, hanno perso troppo tempo. E giù di corsa con il colpo di scena suddetto -neanche tanto prevedibile, almeno in parte, anche se odorante di clichè in ogni dove- e un finale abbastanza troncato.
In effetti, noia a parte, i primi due atti, non sono neanche male, se non fossero così statici, e fanno presagire una soluzione finale gagliarda. Invece rimane piatto, non si scompone e rotola fino al traguardo.

Meno male che c'è il decoltè di Jennifer, molto spesso in canottiera strabordante, l'unica cosa meritevole di visione (e venerazione) per tutta la durata del film. Anche se questo è uno dei suoi primi film da protagonista la vede già sicura di se e al di sopra di tutti i suoi colleghi fra i quali spiccano Elizabeth Sue, sua madre, e Gil Bellows nella parte del classico sceriffo, anche se qui è totalmente priva di senso la sua presenza, dato che non fa nulla e non c'è quasi mai.
Il regista Mark Tonderai (futuro del verbo tondare?) è meglio che torni a fare il DJ alla radio o a fare prodotti per la tv, perchè per fare un compitino così scialbo c'è la fila a Hollywood. Idem David Loucka, sceneggiatore del recente già vituperato Dream House.

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