domenica 17 febbraio 2013

Die Hard - Un buon giorno per morire di John Moore

Nelle sale dal 14 febbraio

Non ci sono dubbi, per il genere action è tempo di revival a tutti i costi, soprattutto da quando Sylvester Stallone ha avuto la geniale intuizione di riesumare e riunire in un solo film le principali star del cinema d'azione hollywoodiano. E infatti, mentre il secondo capitolo di I Mercenari si apprestava ad arrivare nelle sale, hanno cominciato a fioccare news su tutta una serie di pellicole dedicate singolarmente a questi omoni attempati, un po' come negli spin-off dei cine comics Marvel. Tra quei vecchietti c'era anche Bruce Willis, ma in un certo senso lui non se n'era mai andato, e nemmeno il suo alter ego John McClane, che già nel 2004 era stato protagonista del quarto capitolo di Die Hard, senza dubbio il peggiore della saga, almeno fino a oggi. Proprio in questi giorni infatti è arrivato nelle sale Die Hard – Un buon giorno per morire, quinto capitolo della saga diretto da tale John Moore, che si è fatto le ossa con l'action dirigendo quella chiavica di Max Payne (ma anche i remake di The Omen e Il Volo della fenice), una garanzia insomma.
Dopo una breve sequenza introduttiva ambientata in Russia, il film ci mostra finalmente il nostro grinzoso eroe mentre fa pratica al poligono di tiro. Al suo fianco compare un collega e gli racconta che suo figlio John Jr (Jay Courtney), scomparso da anni, è stato arrestato per omicidio a Mosca. Così in un nanosecondo McClane Senior prepara le valige, saluta la figlia (sempre Mary Elizabeth Winstead, purtroppo in scena per pochissimi minuti) e arriva nella gelida Russia per... boh non è chiaro. Poco importa, perché McClane Junior è in realtà un agente della CIA infiltrato che sta cercando di salvare un pentito al centro di un complotto. Ebbene sì, anche Die Hard cade nel nuovo cliché dello scontro generazionale, quindi largo a decine di battutine sull'età del protagonista e sulla vecchia maniera che però funziona ancora alla grande.
La storia non sta in piedi, ma gli affezionati della saga sono abituati alle situazioni più improbabili, quindi si chiude facilmente un occhio su quello che è semplicemente un pretesto per mettere i protagonisti in condizione di provocare morte e distruzione in quantità. Quello su cui non si può chiudere un occhio è la messa in scena, e qui Die Hard 5 è un autentico disastro, probabilmente a causa di una sceneggiatura scritta in quarantacinque minuti, un'ora a essere generosi.
Nell'arco di due scene McClane decide di partire per Mosca. Non è ben chiaro cosa intenda fare per aiutare il figlio, ma a distrarci da queste domande inutili ci pensano un montaggio velocissimo e uno dei siparietti comici più tristi e stereotipati della storia. In meno di cinque minuti siamo davanti al tribunale e qui comincia la catastrofe: McClane Junior mette in atto il piano per salvare il super testimone, e McClane Senior senza rendersene conto fa di tutto per sabotarlo. Insomma il personaggio è stato trasformato in un vecchio rincoglionito: parla da solo, mette bocca dappertutto, sta lì a fissare gli altri che lavorano e soprattutto insiste a guidare anche se gli hanno tolto la patente perché non ci vede più bene. La conseguenza è un inseguimento di una tristezza sconfortante, dove Bruce Willis deve per forza tirare fuori un commento o una battutina ad ogni inquadratura; forse un modo di riempire i numerosissimi tempi morti, oppure un pessimo tentativo di rievocare l'ironia e le frasi ad effetto dei primi film, fatto sta che sentire in continuazione cose come “Io ci provo!” “Sono in vacanza!” “Questi sono pazzi!” è una vera e propria sofferenza, resa più intensa dal pessimo doppiaggio di Claudio Sorrentino che biascica frasi incomprensibili spesso coperte dal suono degli scontri e delle esplosioni, forse per colpa di un mixaggio audio da denuncia.
Ma in fondo si potrebbe soprassedere anche su queste tante “piccole” cose, dopotutto in un film del genere l'importante è assistere a una sana e liberatoria dose di distruzione, e invece niente, Die Hard 5 non concede nemmeno questo. L'azione vera è propria è concentrata in tre micro sequenze principali, ma nel mezzo c'è il nulla cosmico, la noia, cinque o sei linee di dialogo tra padre e figlio dilatate all'inverosimile con pause e silenzi che uccidono. E poi le frecciatine, una tristezza infinita, l'eterna menata “old school” contro “new school”, oppure gli stereotipatissimi cattivoni russi, che ancora ridacchiano di cowboy e americani arroganti, hanno un bel “CCCP” tatuato sulla schiena ma ci ricordano che “Non siamo più nel 1986, Reagan è morto!”. Ah, la sottile ironia...
Insomma Die Hard 5 è un film che ti porta all'esasperazione, talmente noioso e squallido che quando finalmente arriva al dunque non sei più disposto ad accettare il compromesso, non ti diverti, e allora vedi solo quanto sono profondamente stupide e mal realizzate quelle due o tre scenette d'azione, riprese con mano tremolante e senza un minimo d'ispirazione. E poi ti viene una gran tristezza, perché ti rendi conto che oggi è diventato difficile persino realizzare un action genuinamente divertente.
Die hard 4 era così profondamente brutto che non sembrava possibile fare peggio, e invece eccoci qua, con il peggior capitolo della serie e uno dei peggiori film d'azione degli ultimi anni. Una cosa giusta c'è, il titolo, questo è un buon momento per morire, per la carriera di John Moore e per la saga di Die Hard, ma quell'autocitazione in chiusura puzza tanto di nuovo inizio...

1 commento:

  1. Ottima rece.

    Immaginavo facesse schifo fino a questo punto, hehe!

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