giovedì 15 novembre 2012

The Angel's Share - La parte degli angeli di Ken Loach

Nelle sale italiane dal 13 dicembre, in concorso a Cannes 2012.
"All'alcol! La causa di e la soluzione a tutti i problemi della vita!" è un famoso motto di molti alcolisti coniato da Michel Zamacoïs. Che l'alcol sia un problema serio lo sanno bene nel Regno Unito dove la lotta alla sbronza, soprattutto a livello giovanile, è all'ordine del giorno. Nella patria dei pub, degli hooligans e della pinta i dati sull'alcolismo, o per meglio dire sull'abuso di alcolici, sono surreali. Solo nel 2011 sono stati 200mila i ricoveri ricollegabili a drinks, cocktail e birre, mentre nel solo 2007 sono stati spesi 2,7 miliardi di sterline (3,3 miliardi di euro) dal servizio sanitario nazionale per assicurare cure, trattamenti e servizi agli etilisti. Potrebbe sembrare uno stereotipo razzista ma i dati parlano da soli. Il problema è stato spesso sottovalutato dal governo britannico che ora sta correndo ai ripari con aggiunta di tasse su ogni sostanza alcolica e ingenti divieti e controlli per evitare che anche i minorenni si "sballino" in questo modo.
Quello che è ovvio, tuttavia, è che l'alcol non è di per sè un male. Quando avviene un abuso, qualsiasi cosa diventa un male. Ken Loach, il prolifico regista inglese (e speriamo continui a esserlo. Prolifico, non inglese. Inglese lo rimarrà sempre) è uno dei più attenti osservatori della realtà contemporanea mondiale ma soprattutto nazionale. Da sempre impegnato nel portare al cinema vari aspetti della classe operaia britannica, e recentemente impeganto anche a livello politico con il partito Respect, dopo aver trattato il difficile tema del precariato e della globalizzazione in In questo mondo libero..., decide di buttarsi sull'alcol.
Prende il motto iniziale di Zamacoïs e invece di parlare di cause di problemi, parla piuttosto di alcol come soluzione ad essi. Protagonisti sono quattro ragazzi sui vent'anni, tutti molto problematici che sono riusciti a scampare la galera e che dovranno scontare la loro pena con dell ore di lavoro socialmente utile. Robbie sta per diventare padre, ma finisce sempre in risse violente, a volte causate dal suo caratterino, a volte solo perchè è odiato dall'entourage famigliare della sua fidanzata. Ragazzo intelligente, vede nella nascita del figlio un motivo per rigare dritto e essere un padre modello. Albert è un beone, per lui ubriacarsi è la normalità, lui che di normale non ha nulla. Rhino sembra ed è una persona sanissima ma si diverte a imbrattare i monumenti nazionali. E infine c'è Mo, taccheggiatrice incallita, ruba cose di cui neanche ha bisogno. E' una vera malattia.
Vengono presi sotto l'ala protrettrice di Albert, il simpatico responsabile del gruppo per cui dovranno lavorare. Albert ha una passione, il whisky, e per lui l'alcol è appunto un motivo di studio, di condivisione, è una gioia non una necessità per evadere dalla realtà. Un giorno decide di portare i suoi sottoposti a una gita premio a una distilleria, un rischio dato che molti alzano facilmente il gomito. Per Robbie è una rivelazione, conosce un nuovo mondo che lo salverà. Un mondo dove ci sono molti esperti e collezionisti, dove si assapora e si giudica, non si ingolla e si vomita, dove c'è rispetto e rigore e non casino e sbornie del giorno dopo. Dove infine, una bottiglia di buon whisky può costare anche 1 milione di sterline ed è qui che la sua mentalità criminale entra in gioco. Un furto per sistemare la sua vita e quella dei suoi amici, e tuttavia un furto senza troppe vittime.

E' inevitabile che mi esprima ora in due scontatissime quanto adatte metafore. Ken Loach è come il buon vino, più invecchia e meglio è. Succede spesso che più un artista invecchi e più la sua lucidità e la sua grandezza appassiscano. Nessuno li costringe a ritirarsi, ma nessuno costringe il critico o lo spettatore a roteare gli occhi e a pensare al glorioso passato. Non è il caso di Loach che più passano gli anni e più continua a sfornare fenomenali film e per di più con una certa regolarità.
Inoltre il cinema di Loach sta a un ottimo vino o a un ottimo whisky, come un filmaccio di cassetta sta a una birra da supermercato. Il secondo va visto così tanto per, a tempo perso, magari mentre si fa altro, magari perchè non c'è altro da vedere. Rimane poco dentro di noi, e soprattutto non rimane il sapore, l'esperienza. Tutto il contrario di un buon vino, un buon Loach, che va assaporato, fatto decantare, a cui va data la giusta attenzione e il giusto rispetto. Ogni sua pellicola è una piccola perla che fa breccia nel nostro cuore. Ogni volta, con quel suo mix di facce, umorismo, impegno sociale e corretta e spietata analisi della società moderna, riesce a infiammarci come un buon alcolico che scende piano piano nell'organismo. E siamo inebriati, felici e soddisfatti.
E' notevole come in questo caso riesca a trasformare un argomento spinoso in una commedia di grande profondità. Una pellicola che andrebbe mostrata ai tanti ubriaconi britannici come programma di riabilitazione, perchè ammantata di un amore e un fascino, di una passione per il whisky, che trasformerebbe anche il peggiore dei tracannatori. Invece di mostrare storie tristi e di riscatto, Loach usa un altro stratagemma, prende un'altra strada, molto più funzionale. Prende per la gola e con la curiosità lo spettatore, tramite aneddoti (the angel's share non è altro che la parte di alcol che viene fatta evaporare, circa il 2% ogni anno, dalle enormi botti di whisky lasciate a riposo per decine di anni. L'alcol disperso nell'aria viene regalato agli angeli) e descrizioni particolareggiate composte dai nasi dei sommelier più acuti.
Con quel finale poi, dopo una storia che prende una piega tra le più surreali dei suoi film, chiude dicendo che comunque non basta la passione e un gruppo fidato di amici, ma serve anche un cervello e chi ce l'ha può continuare sulla buona strada imboccata, mentre chi non ce l'ha, torna quello che era prima.
Ancora più realismo è dato dal classico uso del regista di attori non professionisti. Nessuno eccelle ma sono tutti dei volti perfetti e in alcuni casi simpaticissimi, soprattutto il terribile Gary Maitland nella parte di Albert (come si fa a non odiarlo a pochi minuti dalla fine!). Inutile poi sottolineare come un film del genere andrebbe visto in lingua originale, in quello scozzese così incomprensibile. Vederlo doppiato sarebbe come aggiungere dell'acqua al proprio drink. Va bene adesso le ho finite tutte le metafore.
The Angel's Share -uscirà sicuramente in Italia, grazie alla BIM, ma in un periodo sovraffolato di blockbuster e film prenatalizi- è in definitiva una dei migliroi film dell'anno, una di quelle pellicole europee sottotraccia che fanno impallidire le maggiori produzioni hollywoodiane. Un film con grande cuore, una commedia divertentissima e una pellicola che rimane dentro e che lascia molto su cui riflettere.
Viva Ken Loach, regista da assaporare senza alcuna moderazione.

1 commento:

  1. Mi unisco alle lodi per quest'ultimo lavoro di Loach: un cuore davvero grande, non esiste espressione più consona.
    Non ho idea di come intenderanno doppiarlo, ma sono contenta di averlo visto in lingua originale.
    Ci sono anche stata, in Scozia, ma non rammento niente di simile.

    RispondiElimina