mercoledì 28 novembre 2012

Chained di Jennifer Lynch

In visione al TFF #30 e non so in quali altri festival precedenti.
Ad aprire la sezione Rapporto Confidenziale (di cui fanno parte moltissime interessanti pellicole) di questo trentesimo Torino Film Festival, il 23 novembre, è stata chiamata Jennifer Lynch che ha presentato il suo nuovo film, Chained, in uscita in Italia, direttamente sul mercato home video dal 6 dicembre.
Dopo un pomeriggio passato al cinema, il piccolo Tim e la mamma prendono un taxi per tornare a casa. Purtroppo il conducente ha altri piani e dopo averli chiusi dentro li porta a casa sua dove uccide violentemente la donna. L'uomo è un killer seriale che rapisce le sue vittime e le porta nella sua dimora isolata dove le uccide e in seguito ci fa sesso. Accortosi del bambino decide di tenerlo e di usarlo come aiutante; dovrà pulire il sangue, mettere in ordine, non uscire mai di casa (quando ci prova viene incatenato, da cui il titolo) e preparargli la colazione, oltre che raccogliere tutti gli articoli di giornale che parlano delle sparizioni delle "sue" donne. Gli anni passano e Rabbit, così viene chiamato, levandogli persino il nome, diventa un teenager, istruito dal suo carceriere e sempre più succube. Un giorno l'uomo decide che è il suo turno, tocca a lui andare a caccia, diventare un uomo assaggiando una donna, ma Rabbit-Tim non riesce ad essere un tale mostro e cercherà in tutti modi di non nuocere a nessuno.
Buon sangue non mente, si usa dire. Solo nell'ambito del cinema vengono in mente tanti buoni esempi. Sofia Coppola e Jason Reitman sono i primi che mi vengono in mente e i più recenti. Jennifer Lynch è l'eccezione che conferma la regola. Giunta al suo quarto lungometraggio, fatica ancora a imporsi come una talentuosa regista e ancora meno autrice, incapace di seguire le orme del padre e come stile e come bravura.
Chained sfrutta malamente un'idea già vista ma comunque interessante. Tutta la premessa inziale finisce per perdersi in un ritmo assente e pesante che rende la visione un vero e proprio supplizio. Nessun stravolgimento in grado di dare forza a uno script piatto e nessuno scossone capace di svegliare lo spettatore dal torpore. E' un vero peccato perchè il film è pervaso da un'atmosfera malsana e claustrofobica (e qui si vede di chi è figlia, ma sembra più adottata) che funziona più che egregiamente ma che difficilmente colpisce il pubblico, perso ormai a circa un terzo di film e mai più recuperabile. Perciò le disturbanti sequenze di necrofilia dell'aguzzino o il macabro gioco di memory fatto con le carte d'identità delle vittime, non trova molti svegli e disgustati/deliziati.
Ci prova con un colpo di scena nel finale a metà tra il ridicolo, il patetico e il forzato, fatto solo per non chiudere in manera banale un racconto privo di mordente. Un classico stratagemma di questo genere di film che invece che salvare il salvabile, danno l'idea che la sceneggiatura sia stata scritta con un'idea inziale e un finale geniale -secondo l'autore- ma senza capire come riempire la parte centrale e come farne un lungometraggio.
Notevolissima la prova, anch'essa malata, dei due protagonisti. Un Vincent D'Onofrio spaventoso, con quella sua voce appena comprensibile e un fisico e un'incedere dondolantemente ipnotico. Ed il giovane Eamon Farren, convincente nella parte del fragile ragazzo.
Chained rimane quindi una pellicola "che avrebbe potuto" ma che non è. Difficile capire come e dove andrebbe migliorata (forse farla durare meno) ma facile dire che ce ne si fa a meno di storie di questo genere.

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