sabato 15 settembre 2012

Pietà di Kim Ki-duk

Nelle sale dal 14 settembre.
Kim Ki-duk è tornato e non solo formalmente -quello lo aveva già fatto un anno fa con Amen, un prodotto troppo personale che non lo convince e lo ritirò dalla visione al pubblico dopo poco tempo- ma letteralmente. Ne è valsa la pena aspettare quattro anni, tanto è passato dal suo ultimo film, Dreams, per poter godere a pieno del meraviglioso Pietà.
Ancora più gioia si prova nel vederlo trionfare alla 69esima mostra del cinema di Venezia dove ha sbaragliato la concorrenza composta da nomi come P.T. Anderson e Terrence Malick e festeggiare intonando un piccolo assaggio di Arirang.
Kim è rinato, dopo una pausa autoimposta in seguito a un incidente accaduto sul set (proprio di Dreams) che ha causato una crisi sia produttiva sia esistenziale. Non si riconosceva più, non capiva in che direzione il suo cinema e la sua vita stessero andando. Ha avuto il bisogno di isolarsi, di una lunga autoriflessione per comprendersi e anche perdonarsi (qualora ci fossero delle reali colpe), per perdere quella pressione che sentiva sulle spalle, diventato in pochi anni il più fulgido esponente del cinema asiatico post 2000, con una folla sempre più grande e sempre più in attesa del suo prossimo lavoro. Lo ha fatto nell'unico modo che conosce, con la macchina da presa, in Arirang.

"I bastardi siete voi, che vi indebitate senza ragionare e poi non saldate i debiti".
Torna con un film rischioso, come hanno sottolineato molti. Un'opera contemporanea, legata al presente e alla situazione economica che la nostra epoca sta attraversando. Un film fortemente sentito, viscerale e capace di colpire in più punti, al cuore, allo stomaco, al cervello. 

Lee Kang-do lavora per uno strozzino che ogni giorno lo sveglia con la foto di un nuovo malcapitato in ritardo coi pagamenti da andare a trovare. Per ogni cifra richiesta, gli interessi sono del mille per cento, in pratica, impossibile saldare il debito. Ma Gan-do non si fa problemi e soprattutto non ci rimette di certo di tasca sua. Se uno dei poveri artigiani locali non può pagare, viene reso invalido di modo che i soldi dell’assicurazione potranno ripagare il debito. Un giorno però si presenta a casa sua una donna, sostenendo di essere la madre che lo abbandonò appena nato. Kang-do non si fida e sottopone la donna a prove disgustose. Una volta ottenuta la fiducia, inizia per i due una nuova vita. Finalmente riuniti, passano le giornate come fossero tornati indietro nel tempo, all'infanzia del ragazzo e tornano a essere una vera famiglia. Kang-do conosce il perdono e la pietà appunto, davanti alle sue vittime. Questo idillio si rompe quando uno dei debitori storpiati rapisce la madre e minaccia di ucciderla. Il carnefice che si riscopre vittima.

Nel piccolo quartiere di Cheonggyecheon si vive in povertà, nella sporcizia, chiusi nelle officine che fungono anche da casa, con la città, Seoul, e i suoi grattacieli che stanno per sommergerlo, distruggerlo, mangiarselo vivo. Non c'è più spazio per i piccoli professionisti con la propria torneria o la modesta officina. Il capitalismo sta per inghiottirli e il suo unico mezzo e arma infallibile è il denaro, il vero protagonista del film. Li colpisce con i debiti, li elimina. E' una situazione senza via d'uscita. Persino un povero coniglio, simbolo di innocenza, una volta liberato, non riesce a salvarsi, a sfuggire al suo destino prestabilito.
Non c'è quindi salvezza per Kim, nel suo film più nero, più atroce. Non c'è salvezza per questa gente, perchè non esiste un altra realtà nel film, non la vediamo. I grattaceli e il benessere sono lontani, sono solo uno sfondo, irraggiungibile e intoccabile. 

A Cannes vinse l'amour, a Venezia vince la pietà.
La pietà del titolo -ispirata da quella di Michelangelo, scultura vista dal regista in diverse occasioni durante le sue visite in Vaticano- si dirama verso tre direzioni. Pietà per un uomo, uno strozzino, violento, senza morale, senza coscienza, ma vissuto senza una famiglia, senza una madre amorevole. Pietà verso una madre che ritorna dal figlio, pentita, addolorata. Pietà per la condizione umana, per i commercianti, che la invocano a gran voce, invano. Pietà insieme alla vendetta, l'altra faccia della medaglia, l'altra reazione. Perchè non tutto può essere perdonato, non tutto merita pietà.

 Non solo Kim Ki-duk è tornato ma è ritornato alle origini. Pietà è molto simile ai suoi primi lavori (The isle o Adress unknown, Bad guy) dove nel connubio violenza e poesia, la prima prende un leggero sopravvento. Come se fosse animato da un nuovo vigore, un nuovo furore, il regista è ringiovanito risponde così alle critiche di una immobilità creativa e stilistica, e di una certa ripetitività nelgi ultimi lavori. E' quini un film di rottura, anche di più di Arirang.
Pietà è un film meraviglioso per la gamma di sensazioni che riesce a far trapelare dalla pellicola. Lo shock della violenza nuda e cruda, la compassione per un povero neo-papà, capace di farsi amputare entrambe le mani pur di dare al figlio un futuro decente, il disgusto per la scena più forte del film, quello stupro-incesto tra madre e figlio, e l'amore e la gioia di rivedere una famiglia riunita, gli abbracci che si scambiano nel ritrovarsi insieme, di nuovo. Poesia e violenza, sempre presenti, come nei migliori Kim Ki-duk.

Fenomenale il duo presente su schermo. Lee Jung-jin è una maschera di violenza e fragilità. E' iraggionevole, furioso, impassibile davanti alle suppliche e al dolore dei poveri abitanti del suo quartiere ma una volta ritrovata la madre straripa tutta la sua insicurezza e fragilità. Jang Mi-sun anche lei fantastica, per mille ragioni che non possono essere rivelate qui, senza andare in spoiler. 

Mi rendo conto di aver fatto davvero fatica a scrivere di questo film meraviglioso -anche Ghezzi, forse a causa degli antidolorifici per la gamba rotta, riusciva solo a ripete un "è bellissimo, è bellissimo"- ma è anche questo Kim Ki-duk. Sensazioni, emozioni, difficile mettere su carta quello che riesce a trasmetterti con così tanta facilità, senza ricercare espedienti particolari o complicati. Va visto, va vissuto, con quel finale che ti lascia tanto dentro e allo stesso tanto vuoto. 
Se la cura Arirang funziona così bene, ci si dovrebbero sottoporre moltissimi registi. Bentornato Kim.

3 commenti:

  1. Difficilmente si può sperare che amplino la distribuzione andando avanti, vero? Dovrei cambiar provincia per vederlo... Peccato, mi era venuta proprio voglia dopo aver letto la recensione.
    Resto speranzoso.

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  2. No difficile, soprattutto perchè è un periodo pieno di film. Ogni weekend esce qualcosa di nuovo e quelli vecchi vengono tolti in fretta. E' un vero peccato.

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  3. Sì hai ragione. Lo aspetterò in home video in caso, o qualche passaggio casuale in TV...
    In ogni caso ti faccio anche i complimenti per la recensione, ne traspare il fatto che sia un film che comunica molto a livello emotivo, ed invoglia alla visione (come secondo me ogni recensione di un film particolarmente apprezzato dovrebbe fare).
    Grazie ancora per l'info!

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